Darfur al bivio
Spiragli di luce in Sudan. A fine febbraio il governo ha firmato a Doha, con lo Justice and Equality Movement (Jem), il Framework and Ceasefire Agreement: un pre-accordo che prevede una tregua tra le parti, anche se non ancora formalizzato in un cessate-il-fuoco o in una pace definitiva. Si è forse vicini alla parola “fine” per il conflitto nel Darfur? Alle ragioni di ottimismo si alternano diversi elementi di preoccupazione. In virtù della firma dell’accordo, lo Jem ha ottenuto (per la prima volta) posizioni di rilievo sia nell’amministrazione centrale che in quella locale. Un’eventuale partnership nazionale dipende invece da una trattativa che giungerà forse più avanti, legata alla possibilità che il movimento diventi un vero e proprio partito politico.
A garanzia della serietà del suo impegno, dopo la firma il governo ha liberato cinquantasette combattenti dello Jem, di cui cinquanta condannati alla pena capitale e cinque all’ergastolo. La liberazione segue quella di altri detenuti nel periodo precedente (il ministro della giustizia sudanese ha commentato di avere «aumentato dal 30 al 50% il numero delle persone liberate» nell’ultimo periodo). Inoltre, dopo la firma, l’Emiro del Qatar (che ha ospitato i colloqui), ha messo a disposizione un fondo di un miliardo di dollari per la ricostruzione del Darfur. Nel corso delle trattative lo Jem ha anche chiesto (senza ottenere alcun risultato) al governo di posticipare di un periodo adeguato le elezioni presidenziali, allo scopo di meglio preparare la popolazione all’appuntamento.
Trattative
Le trattative tra governo e Jem sono iniziate circa sei mesi fa e si sono svolte anche attraverso i buoni auspici della Comunità di Sant’Egidio che, in un comunicato successivo alla firma, si è “congratulata” con le parti, il governo del Qatar e il mediatore Djibril Bassolè (che svolge la sua attività su iniziativa congiunta Unione Africana – Nazioni Unite), sottolineando come «il raggiungimento dell’accordo sia un’ulteriore dimostrazione di quanto la sinergia tra realtà istituzionali e non istituzionali possa portare a risultati efficaci». In questo spirito S. Egidio annuncia che continuerà a impegnarsi affinché anche gli altri movimenti ribelli possano raggiungere un accordo con il governo. Analoghe felicitazioni sono arrivate dalla Lega Araba, dall’Organizzazione dei Paesi islamici (Oic) e dai vertici dell’Unamid, la missione di peacekeeping “ibrida” Onu-Unione Africana che ha iniziato la sua attività in Darfur nel 2007.
Motivazioni
Diversi motivi hanno spinto le parti al tavolo negoziale: per il governo hanno avuto un grande peso le pressioni della comunità internazionale legate all’iniziativa della Corte penale internazionale (Cpi), alle prossime elezioni presidenziali (che, a meno di spostamento di data, si dovrebbero svolgere entro aprile) e al referendum per l’indipendenza della parte meridionale del paese, che si svolgerà a gennaio 2011.
Per lo Jem la firma dell’accordo significa riaffermare il proprio ruolo nel Darfur dopo che, dal 2008, il movimento ha assunto un’importanza crescente nel panorama regionale e nazionale, anche per l’appoggio del Chad che, storicamente, rappresenta il suo principale punto di riferimento. Secondo Vittorio Scelzo, emissario della Comunità di Sant’Egidio che ha seguito le trattative, l’accordo tra Chad e Sudan è stato determinante ed “ha accelerato le fasi del negoziato. Si sa che il Jem era il gruppo realmente armato e protetto dal Chad”, paese che ha avuto anche un ruolo importante nel facilitare il dialogo a Doha e che, dopo la firma dell’intesa, ha assunto nuovamente l’iniziativa per arrivare al più presto ad un accordo definitivo (o, almeno, a un cessate-il-fuoco preparatorio).
Caleidoscopio
L’accordo è stato rifiutato dalle fazioni dello Slm di Abdel Wahid al-Nur (Slm-Aw) e di Ahmed Abdel Shafi (Slm-Juba) che, sulla base del principio “no soluzione senza sospensione – del conflitto – ”, (enunciato da Wahid oltre un anno fa) , chiedono al governo il disarmo delle milizie dei janjaweed e la fine degli attacchi ai civili come pre-condizione per il dialogo. Altre dieci fazioni, alcune delle quali appartenenti ai gruppi di Tripoli (riuniti su iniziativa della Libia) e Addis Abeba (riuniti su iniziativa dell’inviato speciale Usa Scott Gration) si sono uniti nel Liberation Movement for Justice (Lmj), guidato da El Tijani El-Sissi, già governatore del Darfur.
Il 18 marzo il nuovo gruppo ha sottoscritto con il governo un accordo di contenuto analogo a quello di febbraio. Khalil Ibrahim, leader dello Jem, non ha riconosciuto l’accordo, opponendosi all’idea di trattative parallele che minano la leadership del suo movimento; Ibrahim lavora inoltre affinché altre fazioni si uniscano al Jem, al fine di arrivare al tavolo delle trattative con un “peso” maggiore. L’azione del leader dello Jem ha portato nei giorni scorsi alla riunificazione con alcune importanti fazioni, facenti parte del gruppo di Addis Abeba. In generale, sia pure in misura inferiore rispetto al passato, il panorama dei movimenti di opposizione sembra ancora essere caratterizzato da una certa frammentazione e da dinamiche interne di forte contrapposizione.
Futuro incerto
Un anno fa un accordo analogo a quelli firmati da Jem e Ljm con il governo del Sudan è rimasto soltanto sulla carta, soprattutto perché il contesto generale non lasciava ben sperare rispetto alla sua effettiva realizzazione.
Un anno dopo la situazione sembra cambiata, ma restano forti elementi di perplessità. Dopo solo due giorni dalla firma dell’accordo, l’offensiva dell’esercito regolare del Sudan nel Jebel Marra (la regione centrale del Darfur) contro le forse Sla di Wahid ha portato nuovi gravi disagi alla popolazione, dimostrando (ove ce ne fosse ancora bisogno) che nonostante l’accordo di massima l’esercito di Khartoum non rinuncia a guadagnare posizioni sul campo. Esistono inoltre forti disaccordi tra il governo e lo Jem: sia riguardo alle cariche che, nel governo nazionale e locale, spetterebbero al movimento, sia riguardo alla richiesta avanzata dallo Jem di posticipare le elezioni. Le condizioni sembrerebbero dunque finalmente diverse. Ma il condizionale rimane d’obbligo. Solo il tempo riuscirà a stabilire se alle dichiarazioni ufficiali seguiranno, finalmente, i fatti.
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La Repubblica: Sudan, l’annuncio di Bashir “La guerra nel Darfur è finita”