Nato, attenzione al due di briscola!
Due notizie gettano una nuova luce sul dibattito in corso sul nuovo concetto strategico della Nato. La prima: il governo olandese del democristiano Peter Balkenende è caduto per l’uscita dalla coalizione dei laburisti, contrari ad estendere oltre il prossimo agosto la presenza del contingente olandese in Afghanistan (circa 2000 soldati). Ciò porterà a nuove elezioni politiche, probabilmente in autunno, e potrebbe di fatto rendere inevitabile il ritiro di quelle forze dal teatro afgano, malgrado le esortazioni contrarie del Segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen. La seconda, il premier belga Yves Leterme ha annunciato che il Belgio, assieme al Lussemburgo, all’Olanda e alla Germania, prenderà l’iniziativa di chiedere al Consiglio Atlantico il ritiro definitivo delle ultimi testate nucleari americane presenti sul territorio europeo.
Se l’Aja vacilla
Si tratta di questioni molto diverse tra loro, che però confermano un clima di grande incertezza sul futuro dell’Alleanza e sulle sue scelte strategiche. Per molto tempo, per la stragrande maggioranza delle opinioni pubbliche europee, la guerra in Afghanistan era stata considerata come giusta e necessaria, in contrapposizione con quella incompresa, dannosa e forse persino illegale, condotta contro l’Iraq.
Ora però, dopo otto anni di impegno militare crescente, molte centinaia di caduti tra i soldati occidentali (e molte migliaia di morti afgani, combattenti e non), nonché molti miliardi di euro di spese affrontate dai paesi impegnati nel conflitto, anche quella convinzione vacilla, specialmente perché non si capisce bene quale guerra staremmo combattendo e in vista di quali risultati. Il probabile ritiro dell’Olanda dal conflitto non è un segnale indifferente se si pensa che quel paese è considerato da sempre uno dei più fedeli e saldi baluardi dell’alleanza transatlantica. Se vacillano all’Aja in altre capitali può scatenarsi un fuggi fuggi generale.
Altrettanto interessante è il segnale sulle cosiddette armi atomiche “tattiche” dell’Alleanza. Innanzitutto perché a inviarlo è anche in questo caso un gruppo di paesi estremamente rappresentativi del sentire europeo “medio” e centrali per il futuro dell’Alleanza stessa. Chi potrebbe immaginare una Nato senza il Benelux o la Germania? E poi perché tocca uno dei più delicati argomenti “tabù” della strategia alleata, quello della dissuasione nucleare e delle garanzie ultime americane per la difesa del vecchio continente.
Disarmo unilaterale o bilanciato?
Le argomentazioni avanzate dal primo ministro belga e dal governo tedesco non sono peregrine. È ad esempio ormai chiaro a tutti che la validità operativa di quel paio di centinaia di testate nucleari americane ancora presenti in Europa e montate su bombe da aereo, è molto bassa. Anzi, in caso di conflitto con un avversario tecnologicamente avanzato (come era la vecchia Urss e come potrebbe essere oggi la Russia) esse presenterebbero gravi problemi di credibilità (per la loro bassissima prontezza operativa, e per la loro altissima vulnerabilità ad attacchi di sorpresa) e potrebbero costituire più una debolezza che un punto di forza. Inoltre si comprendono bene le argomentazioni di coloro che ritengono che dovrebbero essere sacrificate per favorire il processo di disarmo nucleare e per accrescere le pressioni politiche nei confronti di altri paesi che vogliano dotarsi di armamento nucleare.
Tuttavia, una rinuncia unilaterale ad una determinata classe di armamenti, come le armi nucleari montate su vettori aerei a medio raggio, non equivale ad un disarmo bilanciato: proprio l’altro giorno il ministro russo della difesa sosteneva la possibilità per Mosca di installare missili nucleari a breve o medio raggio a Kaliningrad, come eventuale risposta ad un rafforzamento unilaterale della difesa anti-missile dell’Alleanza. Se si pensa ad una trattativa di controllo e riduzione degli armamenti sarebbe più logico proporre una rinuncia bilanciata da ambedue le parti.
Nello stesso tempo, non si capisce bene quale segnale si intenderebbe dare contro la proliferazione nucleare se si aggiunge come giustificazione che si vuole così rinunciare semplicemente ad armi obsolete, inutili e forse pericolose per noi più ancora che per eventuali avversari. Questo non sarebbe certo un messaggio di alto valore morale e politico, ma solo di buon senso e di difesa dei propri interessi.
Il problema della dissuasione
Ma la questione centrale resta quella sulla natura e credibilità della strategia alleata. Per anni, la presenza di queste armi nucleari sul territorio europeo è stata considerata come l’ultimo anello che garantiva la credibilità della dottrina americana della dissuasione allargata in base alla quale gli Usa assicuravano la difesa dell’Europa sino al limite della guerra nucleare, ed oltre. Oggi, – molti sostengono con buoni argomenti – che queste armi sono troppo obsolete ed inadatte allo scopo, e potrebbero quindi essere ritirate, ma non propongono di sostituirle con altri sistemi offensivi, bensì con maggiori sistemi difensivi antimissili ed antiaerei. Ma non è la stessa cosa.
Certo, sullo sfondo rimarrebbe anche la possibilità che gli Usa utilizzino qualcuna delle loro armi nucleari strategiche per continuare a garantire la sicurezza europea, ma gli alleati non avrebbero più neanche la parvenza di un controllo sul loro impiego, né un sostanziale diritto di parola sulla strategia e sulla dottrina operativa, né infine la possibilità di discutere delle caratteristiche tecniche e del dispiegamento di quei sistemi.
E poi, se i nuovi sistemi difensivi non dovessero funzionare al cento per cento (e qui i dubbi dei tecnici sono altissimi) o se l’arma nucleare dovesse arrivare sul nostro territorio per altre strade meno “convenzionali”, quale sarebbe la capacità di risposta del paese attaccato (e quindi la sua forza di dissuasione)? Dovrebbe forse affrontare con armamenti convenzionali un avversario nucleare? O potrebbe contare su una pressoché automatica risposta del governo americano?
Ripensamento strategico
In una situazione in cui le divergenze politiche tra europei ed americani si allargano, a cominciare proprio da quell’Afghanistan dove la Nato si sta giocando la propria credibilità e forse il proprio futuro, siamo sicuri di poter tranquillamente rinunciare anche solo ad un due di briscola?
Si alimentano grandi aspettative sul futuro concetto strategico dell’Alleanza. Alcuni dicono che dovrà avere il peso di quello che fu, nel 1967, il “rapporto Harmel”, che riuscì a rafforzare la solidarietà transatlantica e allo stesso tempo ad aiutare il processo di distensione tra Est ed Ovest. Ma il clima politico è mutato profondamente, e oggi sarebbe bene che questo documento dicesse con chiarezza quale sarà realmente il ruolo degli Usa nel futuro della sicurezza e della difesa europea. Senza abbandonarsi a sin troppo facili scappatoie di comodo.
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Vedi anche:
M. Arpino: Le cinque sfide dell’Alleanza Atlantica
S. Silvestri: Il dubbio amletico della Nato