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Dopo il voto in Ucraina

Il ritorno di Yanukovich e la sicurezza energetica dell’Europa

11 Feb 2010 - Nicolò Sartori - Nicolò Sartori

L’esito delle elezioni presidenziali in Ucraina lascia poco scampo alle interpretazioni: la vittoria di Yanukovich rappresenta una chiara virata di Kiev dalla rotta intrapresa sei anni fa con la rivoluzione arancione. Il paese, spaccato in due politicamente, si appresta a rientrare nell’orbita russa dopo il fallito tentativo di salire sul grande carro europeo e transatlantico. Tuttavia, quella che oggi sembra rappresentare una cocente sconfitta dell’Occidente, potrebbe delineare scenari non del tutto negativi per la sicurezza europea, in particolare nel settore dell’energia. Infatti, dopo gli anni difficili delle crisi energetiche tra Mosca e Kiev, l’orientamento filo-russo del nuovo presidente potrebbe favorire maggiore stabilità in un settore chiave per gli interessi europei.

Affidabilità russa e fattore ucraino
Negli ultimi anni le ripetute dispute tra Russia ed Ucraina hanno alimentato in Europa la sensazione che Mosca utilizzi i suoi asset energetici a fini esclusivamente politici, con l’obiettivo di tenere in scacco i paesi europei attraverso le potenti leve del suo campione energetico, Gazprom. Attraverso questa chiave di lettura, le mosse del Cremlino sono state spesso interpretate come tentativi di mettere sotto pressione un’Europa sempre più dipendente dalle importazioni di gas. Questo approccio rischia tuttavia di essere abbastanza fuorviante, poiché trascura il ruolo chiave dell’Ucraina nella partita energetica centroeuropea.

Innanzitutto è necessario chiarire il falso mito dell’inaffidabilità russa. I rapporti energetici tra Russia e paesi europei sono storicamente consolidati: come dimostrato durante la Guerra Fredda, quando il conflitto bipolare ha spesso assunto toni estremamente aspri, Mosca si è sempre dimostrata un fornitore energetico affidabile per l’Europa. In quegli anni la dipendenza europea dal gas russo era più elevata di oggi, ma lo stretto controllo del Cremlino sull’allora Repubblica socialista sovietica ucraina garantiva ai flussi di gas russo di raggiungere i mercati europei senza particolari intoppi.

La fine della Guerra Fredda e l’indipendenza da Mosca hanno di fatto “liberato” il potenziale di ricatto ucraino sul transito di energia verso occidente. Con circa l’80% dei rifornimenti di gas russo diretti in Europa che passa per l’Ucraina, soprattutto in seguito alla svolta anti-russa del paese, il governo di Kiev ha fatto leva sulle minacce di interruzione delle forniture per ottenere dal Cremlino condizioni agevolate e sostegno finanziario (prezzi del gas dimezzati rispetto a quelli di mercato e due miliardi di euro di debito a metà 2009).

Prospettive per South Stream
Dal giorno della sua presentazione, nel giugno del 2007, il gasdotto di Gazprom ed Eni è stato annunciato all’opinione pubblica occidentale come l’emblema della strategia energetica aggressiva del Cremlino nei confronti dell’Unione europea. Ne è stato enfatizzata la (presunta) competizione con il progetto Nabucco. Tuttavia, il principale obiettivo strategico alla base del progetto South Stream non è mai stata la competizione con il problematico gasdotto europeo quanto, piuttosto, la necessità di aggirare il territorio di un’Ucraina sempre più propensa a sfruttare a proprio vantaggio (sia nei confronti della Russia che dell’Europa) l’annosa questione del transito di gas.

Il riavvicinamento di Kiev a Mosca potrebbe in definitiva semplificare la futura equazione energetica europea, azzerandone la principale variabile indipendente, ovvero l’alto livello di litigiosità tra il governo ucraino e la dirigenza russa emerso in seguito alla rivoluzione arancione. Ovviamente, non ci si deve aspettare uno Yanukovich completamente asservito alle esigenze del Cremlino: in questo momento di crisi politico-economica che sta colpendo duramente il paese, gli interessi nazionali ucraini saranno al primo posto nelle priorità del nuovo presidente. Tuttavia, grazie ad un’intesa di medio periodo tra Kiev e Mosca, il gas russo potrebbe continuare a scorrere nel gasdotto Bratstvo attraverso il territorio ucraino, rendendo meno urgente la necessità di portare a termine la realizzazione di South Stream.

Il gasdotto, la cui costruzione dovrebbe costare attorno ai 20-25 miliardi di euro, ha accumulato una serie di ritardi e battute d’arresto legate sia ad aspetti politici che economici. In queste circostanze Gazprom, colpita da difficoltà interne dovute all’esaurimento dei suoi principali giacimenti e alla necessità di forti investimenti per l’ammodernamento, e da contingenze esterne come la crisi economica e la contrazione della domanda energetica globale, potrebbe avvantaggiarsi della rinnovata sintonia con Kiev quantomeno per posticipare la costruzione dell’ambizioso e costoso gasdotto sotto il Mar Nero.

Futuro roseo per Nabucco?
Se fosse vero che Nabucco e South Stream sono due progetti in netta contrapposizione tra loro, l’eventuale impasse del gasdotto russo-italiano rappresenterebbe un grosso incentivo per la realizzazione della pipeline europea.

In verità, il vantaggio non è tale perché i problemi incontrati in questi anni da Nabucco non hanno come causa principale la rivalità con South Stream. Infatti, il maggiore ostacolo alla realizzazione di Nabucco non sono le scelte strategiche di Gazprom ed Eni, ma le difficoltà dei membri del consorzio europeo nel reperire sufficienti risorse energetiche nella regione caspica. Il limitato successo dell’attività estrattiva in Azerbaijan, l’inaccessibilità delle risorse turkmene e l’impossibilità di un dialogo energetico con Teheran sono ciò che realmente vanifica i disegni europei di diversificazione energetica.

Le difficoltà di Nabucco sono evidenti anche a Washington, e non a caso l’inviato speciale del governo americano per gli affari energetici eurasiatici, Richard Morningstar, ha recentemente avanzato la proposta di ricorrere al gas russo per riempire almeno parzialmente i condotti del gasdotto europeo. L’opzione Gazprom, tuttavia, rappresenterebbe una doppia sconfitta per la strategia di diversificazione dell’Ue. Se dovesse essere costruito per trasportare gas russo, Nabucco dimostrerebbe al mondo intero tutta la sua inutilità, accrescendo in un colpo solo la dipendenza europea da Gazprom e rischiando di frustrare definitivamente i (finora infruttuosi) tentativi di Bruxelles di coinvolgere i paesi produttori del Mar Caspio.

Ritorno al pre-2004
Con la vittoria di Yanukovitch ed il ritorno in Ucraina ad una situazione simile a quella pre-2004 si prospettano, almeno dal punto di vista energetico, effetti parzialmente stabilizzanti. Riavvicinandosi a Mosca, il governo ucraino dovrebbe essere meno incentivato a giocare al rialzo sulla questione energetica come negli anni del duo Yushenko-Tymoshenko. La necessità di aggirare il territorio ucraino potrebbe passare in secondo piano, e con essa l’opportunità di realizzare il gasdotto South Stream. I miliardi risparmiati sul progetto potrebbero tornare utili a Gazprom per un assestamento finanziario, e per investire massicciamente in ambito domestico, in modo da poter rispondere alla domanda di gas destinata a crescere una volta alle spalle la crisi economica globale.

In questa situazione tuttavia, l’Ue dovrà guardarsi bene dal vincolare la costruzione di Nabucco ad eventuali forniture di Gazprom, offrendo di fatto al gigante russo la possibilità di aumentare il suo controllo sul mercato europeo senza doversi nemmeno accollare gli ingenti costi di realizzazione del progetto.

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Vedi anche:

G. Casa: L’Ucraina in crisi guarda ad est

N. Sartori: Le pressioni del Cremlino e l’incerto futuro dell’Ucraina