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Sicurezza e Difesa

L’Italia e la Nato del futuro

10 Dic 2009 - Alessandro Marrone - Alessandro Marrone

Mentre si discute il nuovo Concetto Strategico della Nato e in Afghanistan la situazione è sempre più difficile, l’Italia deve delineare una posizione costruttiva sul futuro dell’Alleanza che tenga conto sia della cooperazione tra Nato e Ue, sia dei rapporti con la Russia e delle capacità militari dell’Alleanza. Di ciò si occupa anche il rapporto del Comitato Difesa 2000 “Dove va la Nato?”, che è stato presentato il 14 dicembre al Centro Alti Studi per la Difesa (Casd).

Migliore cooperazione Nato-Ue
Si è spesso parlato in termini più o meno astratti di “divisione del lavoro” tra le due organizzazioni, in base al tipo di missioni da svolgere o alla regione mondiale di cui occuparsi. Una simile impostazione rischierebbe tuttavia di creare conflitti di competenza tra le due istituzioni, che invece hanno tutto l’interesse a cooperare efficacemente, visto che due dozzine di stati europei sono membri di entrambe, e che gli scopi di Nato e Pesd sono complementari se non, in alcuni casi, sovrapponibili.

L’ipotesi su cui lavorare è dunque un crescente contributo dell’Ue alle missioni di stabilizzazione, in cambio di una crescente accettazione, da parte degli Stati Uniti, del quadro di riferimento multilaterale della Nato per la risoluzione di crisi di interesse comune. Di fatto, potrà accadere che conflitti a più alta intensità e operazioni di contro-guerriglia vedano una leadership Nato, mentre operazioni di peace-enforcing, peace-keeping e state-building vedano una leadership Ue, viste le rispettive capacità a disposizione. Questa può essere una conseguenza dell’approccio cooperativo di fondo, e non una regola rigida. In quest’ottica, il rientro della Francia nel comando militare integrato della Nato sancita nel 2009 offre una nuova opportunità per la cooperazione Nato-Ue.

Ciò contribuirebbe a porre fine ad una sterile contrapposizione tra Nato ed Ue, aumentando la rispettiva efficacia delle due organizzazioni ed evitando inutili e costose duplicazioni di assetti. Oltre a questi benefici generali, l’Italia ha uno specifico interesse nazionale a che si proceda su questa strada: essendo membro attivo di entrambe le organizzazioni l’Italia vedrebbe accresciuto il proprio peso rispetto ad altri paesi euro-atlantici attivi in uno solo.

Ricalibrare i rapporti Nato-Russia
I rapporti con la Russia, poi, andrebbero ricalibrati. In primo luogo, occorrerebbe riaffermare che non sono tollerati ricatti o intimidazioni da parte russa contro i paesi dell’Europa orientale membri dell’Alleanza, i quali anzi vanno rassicurati sulla indivisibilità della sicurezza collettiva.

Altrettanto chiaramente va ribadito che un’ulteriore espansione della Nato verso est, ad esempio includendo Ucraina e Georgia, non può essere soggetta a veti russi. Allo stesso tempo però l’adesione di tali paesi deve essere attentamente valutata, alla luce sia della loro capacità di contribuire alla sicurezza collettiva che della effettiva volontà politica ucraina o georgiana, e del relativo sostegno popolare, riguardo all’ingresso nell’Alleanza. In quest’ottica, piuttosto che affrontare prematuramente la questione della membership di Kiev e Tbilisi, è più utile ed opportuno sviluppare con i due paesi delle partnership rafforzate, estese e calibrate sulle rispettive realtà nazionali.

Nel frattempo l’Italia e gli Alleati dovrebbero rilanciare il partenariato Nato-Russia, iniziato con l’accordo di Pratica di Mare del 2002. Un tema su cui la cooperazione pan-europea è possibile, oltre che necessaria, è il Trattato sulle Forze Convenzionali in Europa, al momento in una sorta di limbo giuridico e che andrebbe invece sottoscritto da tutte le parti in causa per fornire una solida base giuridica alla sicurezza europea.

L’Italia ha un interesse strategico nell’avanzamento della cooperazione Nato-Russia anche a causa della dipendenza energetica dalla Federazione russa. Allo stesso tempo però è interesse dell’Italia non apparire agli occhi degli Alleati, in primis degli Stati Uniti, come un partner inaffidabile quando si tratta dei rapporti con Mosca. Perciò, l’Italia dovrebbe lavorare ad un approccio Nato verso la Federazione russa che contempli sia una mano tesa su alcuni dossier che una ferma opposizione su altri. Saper dire dei “no” quando è necessario aumenterebbe la credibilità dell’Italia e in generale della Nato, e accrescerebbe l’importanza e il valore dei “si” detti a Mosca su altri temi.

Quanto alla sicurezza energetica, è un dato di fatto che molti paesi dell’Ue, inclusa l’Italia, dipendono in misura crescente dalle importazioni provenienti dal Nord Africa, dal Medio Oriente e appunto dalla Russia. Questo fattore di vulnerabilità può diventare un elemento di contenzioso politico-strategico, indebolendo il consenso tra Alleati. L’Italia dovrebbe affrontare tale dipendenza nel medio periodo attraverso la diversificazione sia delle fonti di energia (tra cui, ad esempio, lo sviluppo del nucleare) sia dei paesi fornitori, affiancando ai partner tradizionali anche paesi dell’Asia centrale e del Medio Oriente. Per l’Italia fare i conti con la dipendenza energetica in ambito Nato vuol dire anche evitare che la sicurezza energetica sia affrontata in termini di contrapposizione politico-militare, ma piuttosto attraverso una più efficace e coerente politica energetica dell’Ue.

Rinnovare le capacità militari e il nodo della difesa anti-missile
Molte sono le questioni aperte quanto alle capacità militari dell’Alleanza: dall’annoso problema del “burden sharing” tra alleati all’interoperabilità dei contingenti, dal tipo di equipaggiamento necessario per conflitti a bassa intensità e lunga durata come quello in Afghanistan, alla realizzazione di programmi di joint procurement, alla sorte delle capacità di deterrenza nucleare alleate dispiegate in Europa.

Tra tutti questi temi, quello della difesa antimissile dischiude oggi nuove opportunità per l’Italia. Alla luce della svolta americana sullo scudo antimissile, il governo italiano dovrebbe cogliere l’occasione per promuovere un piano Nato sui presupposti illustrati da Obama, anche mettendo a disposizione navi e basi per gli intercettori alleati. In questo modo, l’Italia contribuirebbe alla salvaguardia della sicurezza europea dalla minaccia missilistica attraverso uno strumento che non irriterebbe inutilmente la Russia. Inoltre, in considerazione dell’impegno a mettere a disposizione le proprie basi, che presenta in ogni caso un rischio apprezzabile seppure non paragonabile al caso degli Euromissili negli anni ’80, l’Italia avrebbe un maggiore potere negoziale su altri tavoli. Ad esempio, l’Italia potrebbe efficacemente sostenere che ospitando intercettori Nato contro la minaccia missilistica iraniana ha tutto il diritto di partecipare al negoziato “5+1” con l’Iran, che dovrebbe quindi diventare “5+2”.

Tutto questo fa parte di una riflessione di fondo sull’identità e il ruolo della Nato, che include anche il dibattito sul futuro dell’Alleanza tra i fautori di una “Nato globale” e i sostenitori di un ritorno al core business della difesa collettiva euro-atlantica. Aldilà delle singole questioni, il punto cruciale è che Stati Uniti ed Europa trovino un accordo sulla valutazione delle minacce e sulla strategia per affrontarle in un contesto strategico in cambiamento. Solo risolvendo questo nodo e trovando un compromesso su un accresciuto impegno militare europeo in cambio di un approccio multilaterale americano il nuovo Concetto Strategico potrà mettere in condizione la Nato di essere all’altezza delle sfide attuali.

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Vedi anche:

S. Silvestri: Il dubbio amletico della Nato

A. Marrone: L’incerta scelta strategica di Obama sull’Afghanistan