IAI
L’accordo Cina-Turkmenistan

Gas e sfere di influenza in Asia centrale

20 Dic 2009 - Nicolò Sartori - Nicolò Sartori

Nei giorni scorsi Turkmenistan e Cina hanno inaugurato un nuovo gasdotto che collega i ricchi giacimenti turkmeni al sistema di distribuzione energetica cinese. Oltre ai due presidenti Gurbanguly Berdimuhammedov e Hu Jintao, erano presenti all’evento autorità dei paesi dell’Asia centrale. Mancavano invece i rappresentanti iraniani, che pure erano stati invitati, e quelli russi, la cui partecipazione non era prevista. L’avvenimento, comprese le assenze eccellenti di Russia e Iran, lascia immaginare un possibile mutamento di scenario in Asia centrale, con la Cina intenzionata a far valere il suo crescente peso specifico al suo confine sud-occidentale. Le ripercussioni sugli assetti regionali, ma anche sulle relazioni tra l’Europa, la Cina e altri paesi, come la Russia, potrebbero essere di non poco momento.

La nuova via del gas
L’impronta cinese in Asia centrale si manifesta nella costruzione del gasdotto che collega il ricco giacimento turkmeno di Bagtyyarlyk alle infrastrutture energetiche cinesi nella provincia dello Xinjiang. La prima sezione del gasdotto, costruita da un consorzio internazionale guidato dalla China National Petroleum Corporation, è lunga circa 1800 chilometri e attraversa i territori di Uzbekistan e Kazakhstan. Nel 2010 il gasdotto sarà in grado di trasportare in territorio cinese 10 miliardi di metri cubi di gas centroasiatico, che dovrebbero diventare 40 entro il 2012, quando sarà ultimata anche la seconda sezione del progetto che collegherà i giacimenti kazaki alla provincia della Cina occidentale.

L’inaugurazione del gasdotto sino-turkmeno avviene in un momento estremamente delicato delle relazioni tra Ashgabat e Mosca. La Russia, sia durante il periodo sovietico che in seguito all’indipendenza turkmena, ha di fatto mantenuto un monopolio sulle esportazioni di idrocarburi della repubblica caspica, controllando oltre il 90% della sua rete energetica. Berdimuhammedov, che è salito al potere nel gennaio 2006, ha però puntato a ridurre l’influenza russa, con l’obiettivo di trarre maggiori profitti dall’esportazione di idrocarburi. Lo scorso aprile una misteriosa esplosione presso la sezione turkmena del Central Asia-Center pipeline, un sistema di gasdotti controllato da Gazprom, il gigante russo del gas, ha interrotto le esportazioni verso la Russia, che da allora non sono state più ripristinate, aprendo una frattura nelle relazioni tra Ashgabat e Mosca.

Nel 2003, durante la presidenza di Saparmurat Niyazov, il Turkmenistan aveva siglato con Gazprom un contratto di fornitura per 90 miliardi di metri cubi annui fino al 2028, confermato da un accordo del 2007 (sottoscritto da Berdimuhammedov) per la costruzione di un nuovo gasdotto caspico in grado di assicurare la fornitura dei quantitativi stabiliti. Sebbene il Turkmenistan sia comunemente considerato uno dei grandi attori globali nel settore del gas naturale, stenta a raggiungere i livelli di estrazione necessari ad assicurare le forniture concordate negli ambiziosi contratti con Mosca e Pechino. La partita del gas turkmeno coinvolge anche l’Unione europea, che nella sua schizofrenica corsa alla diversificazione energetica ritiene ancora plausibile fare affidamento sulle esportazioni garantite dal Turkmenistan nell’aprile 2008.

L’ascesa cinese
La crescente influenza cinese in Asia centrale rischia di spazzare in un solo colpo i piani egemonici di Mosca sulla regione e le pie illusioni dell’Ue. Sin dal crollo dell’Unione Sovietica, il governo cinese ha progressivamente rafforzato i legami con i governi centrasiatici. E la presenza di Pechino non si fa sentire soltanto nel settore energetico, ma anche in quello commerciale e della sicurezza.

La Shangai Cooperation Organization (Sco), ad esempio, sebbene includa tra i suoi membri anche la Russia, tende a configurarsi sempre più come uno strumento di Pechino per rafforzare la propria presenza nella regione. Va ricordato che nell’estate 2008 sia la Cina che i membri centrasiatici dell’organizzazione (Kazakhistan, Kyrgyzstan, Tagikistan e Uzbekistan) hanno preso le distanze dall’intervento russo in Georgia, rifiutandosi di riconoscere le due repubbliche secessionistiche di Abkhazia e Ossezia del Sud. Concepita un po’ velleitariamente come possibile controaltare militare della Nato, nei fatti l’organizzazione funziona principalmente come forum di discussione su questioni che spaziano dalla sicurezza alle relazioni commerciali.

Nel settore della sicurezza Pechino ha trovato un importante denominatore comune con i governi delle ex-repubbliche sovietiche nella lotta contro il fondamentalismo di matrice islamica, che rappresenta una minaccia per la stabilità sia della provincia cinese dello Xinjiang che dei paesi dell’Asia centrale. Nel marzo 2009 la Sco ha organizzato una Special Conference on Afghanistan, con l’obiettivo di rafforzare il ruolo dell’organizzazione nella promozione della stabilità regionale e per la realizzazione di azioni comuni contro il terrorismo, il traffico di droga e il crimine organizzato anche attraverso il coinvolgimento delle autorità afghane.

Negli ultimi anni si sono intensificati anche gli scambi commerciali tra la Cina e le repubbliche centrasiatiche. Tra il 2002 ed il 2005 sono più che triplicati. Nel 2008 hanno raggiunto un valore di più di 19 miliardi di euro. Il dato è particolarmente interessante se si considera che nello stesso anno gli scambi con la Russia, per anni principale attore politico-economico in Asia Centrale, sono stati di poco superiori, attestandosi attorno ai 20 miliardi euro. L’incremento dei traffici energetici tra Cina, Kazakhistan e Turkmenistan previsto per i prossimi anni porterà presumibilmente ad uno storico sorpasso.

Implicazioni per l’Europa
La competizione sino-russa in Asia centrale ha alcune importanti implicazioni per l’Europa.Sta emergendo innanzitutto che il tanto temuto asse tra Mosca e Pechino è più immaginario che reale. Soltanto un paio di mesi fa, in occasione dell’accordo tra i due governi su una serie di ricchi contratti commerciali, molti osservatori europei avevano paventato una nuova fase di cooperazione strategica tra Russia e Cina, con conseguenti ripercussioni negative per la sicurezza energetica (ma non solo) dei paesi europei.

L’intesa di massima tra Gazprom e la China National Petro¬leum Corporation, che prevedeva una fornitura di 70 miliardi di metri cubi di gas annui nei gasdotti cinesi in cambio di un ingente sostegno finanziario da parte di Pechino, non si è però ancora conclusa con la firma di un accordo vincolante. L’inaugurazione del gasdotto sino-turkmeno potrebbe rallentare ulteriormente questo processo, riavvicinando Mosca (se mai se ne fosse allontanata effettivamente) ai suoi partner europei.

Dal punto di vista della sicurezza, l’attivismo cinese potrebbe rappresentare un punto di forza per la lotta contro il terrorismo, il traffico di droga e il crimine organizzato che hanno il loro epicentro nella regione. Sebbene in modi spesso in contrasto con i principi dell’occidente, Pechino ha dimostrato di essere fortemente impegnata (anche attraverso la Shangai Cooperation Organization) a contrastare la diffusione del terrorismo e del fondamentalismo nelle aree limitrofe al suo confine sud-occidentale.

Rinunciando alle proprie velleità di influenza in Asia centrale, l’Europa potrebbe avvantaggiarsi della rivalità energetica tra Mosca e Pechino nella regione per ristabilire un rapporto di interdipendenza più equilibrato con la Russia, dalle cui risorse non può realisticamente prescindere. Al contempo, potrebbe far leva sull’effettiva esigenza di sicurezza della Cina e dei membri centrasiatici della Shanghai Cooperation Organization, per favorire una stabilizzazione concertata del conflitto afghano, dalla quale tutti gli attori coinvolti avrebbero da guadagnare.

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Vedi anche:

A. Dai Pra: La via dell’Ue al gas del Caspio

A. Marrone: Nabucco e South Stream: complementari o in competizione?