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Medioriente

Perché le sanzioni all’Iran potrebbero colpire l’obiettivo sbagliato

23 Ott 2009 - Stefano Casertano - Stefano Casertano

Il recente avvio dei negoziati tra l’Iran e il gruppo del cosiddetto 5+1 (Cina, Francia, Gran Bretagna, Russia e Stati Uniti più la Germania) sul programma nucleare iraniano, è stato affiancato da altre iniziative con un doppio obiettivo: aumentare la pressione internazionale su Teheran, preparare alternative credibili nel caso in cui falliscano i negoziati.

Tra queste iniziative rientra l’incontro promosso dall’amministrazione americana di un gruppo definito da alcuni osservatori come “La Coalizione delle Nazioni che la Pensano Uguale”, che si è tenuto a Washington all’inizio di ottobre per definire una strategia di potenziali sanzioni verso l’Iran. A coordinare l’incontro è stato Stuart Levey, Sottosegretario del Tesoro per l’Ufficio Terrorismo e Intelligence Finanziaria. Attorno al tavolo si sono seduti rappresentanti delle sette nazioni più industrializzate, insieme ad Arabia Saudita, Emirati Arabi, Australia e Corea del Sud. I grandi assenti erano Cina e Russia, che si dichiarano ancora scettiche rispetto all’opportunità di nuove sanzioni verso Tehran.

Anche se non sono stati emanati comunicati ufficiali, secondo alcune fonti giornalistiche Levey avrebbe illustrato l’ipotesi, nel caso in cui i negoziati in corso con l’Iran si concludessero con un nulla di fatto, di colpire l’economia iraniana bloccando le esportazioni verso otto settori chiave, tra cui, in particolare: quello dei prodotti petroliferi raffinati (benzina in primis), quello delle aziende di assicurazione e riassicurazione e quello delle banche e delle spedizioni.

L’efficacia delle sanzioni
Washington intende in questo modo aumentare le pressioni sull’Iran affinché interrompa i suoi progetti di arricchimento dell’uranio, e accetti proposte alternative di impiego dell’uranio arricchito di provenienza americana o russa; a questo si aggiunge il fatto che l’Iran dovrebbe accettare le ispezioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea). I piani di Tehran preoccupano soprattutto Israele: il primo ministro Benjamin Netanyahu vorrebbe sanzioni ancora più dure.

La questione da porsi è se le sanzioni sarebbero funzionali all’obiettivo strategico di Washington. L’idea americana è infatti che limitare le esportazioni di prodotti chiave potrebbe minare la struttura economica del Paese, precipitandolo in una crisi che delegittimerebbe i suoi leader. A causa della struttura del tutto particolare del Paese persiano, questo scenario rimane tuttavia estremamente remoto.

L’Iran non è una democrazia lineare, in cui esista un collegamento diretto tra la volontà popolare e i detentori del potere. Soprattutto dopo le elezioni truccate dello scorso 13 giugno, alfiere dell’ordine sociale è diventato un gruppo formato dalla commistione di militari e Pasdaran, che hanno preso spazio a discapito della classe religiosa e dei politici conservatori. L’Iran non è più una “democrazia teocratica”, ma assomiglia sempre più a un regime militare.

Il ruolo chiave delle Bonyad
I Pasdaran contano su una presenza storica nel mondo delle Bonyad, finanziarie pubblico-private che beneficiano spesso di monopoli produttivi o di servizi. Negli ultimi anni lo Stato ha lanciato diversi progetti di privatizzazione, e le Guardie Rivoluzionarie hanno avuto la possibilità di effettuare offerte non competitive per accaparrarsi i beni venduti. Un consorzio legato ai Pasdaran ha recentemente acquistato il 50% dell’azienda nazionale di telecomunicazioni; il braccio ingegneristico delle Guardie, Khatam al Anbia, ha interessi nei settori estrattivo e della costruzione di dighe.

Alla luce di quanto fino ad ora emerso, le sanzioni ipotizzate dall’Occidente avrebbero l’effetto nefasto di colpire prima la popolazione in generale, e solo in seconda battuta i consorzi legati ai settori ricollegabili ai Pasdaran. Una prova di questo è stata fornita da quanto recentemente successo a causa del calo degli introiti da idrocarburi. Dovendo far quadrare i conti, il governo ha dichiarato, per voce del ministro del petrolio Masoud Mirkazemi, che prevede di ridurre la quota mensile pro-capite di gas sovvenzionato da 100 a 55 litri al mese.

A questo si aggiunge il fatto che le Guardie Rivoluzionarie sono ben inserite anche nella borsa nera e nell’importazione di contrabbando: le sanzioni diventerebbero una nuova opportunità di affari, come l’alcol per le mafie americane durante il proibizionismo.

Altre opzioni
Una sanzione molto dura per l’economia iraniana sarebbe quella sulla benzina, visto che il paese non ha sufficiente capacità di raffinazione, e importa circa un terzo del carburante di cui ha bisogno. Si teme però che una crisi economica troppo profonda rischierebbe di ripercuotersi anche sugli investimenti interni nella produzione di petrolio, di cui Giappone e Corea sono grandi acquirenti, e da cui in larga misura dipendono.

Tra tutte le misure che si potrebbero prendere, quella del blocco delle esportazioni petrolifere sarebbe la più severa. L’economia è fortemente dipendente dagli introiti per l’esportazione di gas e idrocarburi. Un celebre precedente storico di questo tipo di provvedimenti riguarda l’Urss. Nei primi anni Ottanta, Ronald Reagan impose il blocco delle esportazioni verso Mosca di prodotti tecnici per il trasporto di gas, al fine di rallentare la costruzione di un nuovo gasdotto da esportazione dalla Siberia all’Europa. La mossa ebbe effetti devastanti sull’economia sovietica.

Ma prendendo simili misure si rischierebbe un crollo completo del paese, e ciò non gioverebbe a nessuno: il vuoto geopolitico già creato dalla situazione interna all’Afghanistan è sufficiente. Ma anche se l’obiettivo è solo quello di destabilizzare i poteri forti di Tehran, sanzioni come quelle proposte a Washington potrebbero essere il sistema meno adatto e, anzi,rischierebbero di dar maggior forza a gruppi di controllo già molto coesi.

Per definire una vera politica anti-Pasdaran e anti-conservatrice è necessario comprendere il senso delle dimostrazioni degli ultimi mesi. Quella che i giovani tentano per le strade di Tehran è una rivoluzione pienamente borghese. Anche per ragioni demografiche, la nuova generazione conta su mezzi economici e culturali sufficienti per pretendere di rinnovare il Paese. E questa presa di coscienza è maturata con l’istruzione e lo sviluppo economico.

Quella iraniana è quindi un’economia che deve essere aiutata a svilupparsi, più che essere limitata da sanzioni e costrizioni. A Tehran, dopo le grandi fughe degli anni Settanta e Ottanta, è tornata ad aggregarsi una classe borghese che ha bisogno di crescita economica per fiorire e diventare il primo alleato contro le forze attualmente al potere.

Se lo scopo dell’Occidente è limitare i piani nucleari dell’Iran, le azioni dovranno essere molto più mirate di quanto non si sia immaginato fino ad oggi. Con le sanzioni si rischierebbe infatti di colpire il bersaglio sbagliato.

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Vedi anche:

A. Bonzanni: Le sanzioni all’Iran e il ruolo chiave della Russia