La mano tesa degli Usa e la riforma del sistema militare russo
La politica di dialogo con la Russia avviata dal presidente Obama e culminata nella decisione di abbandonare la costruzione dello scudo missilistico in Polonia e Repubblica Ceca potrebbe avere significative ripercussioni sul sistema militare e dell’industria della difesa russi. Il nuovo clima instauratosi tra Obama e Medvedev indica che la fase della contrapposizione è definitivamente archiviata. Anche la rivalità tra Russia e Nato potrebbe attenuarsi, facilitando una gestione concertata dei problemi di sicurezza in Europa.
Riforma vs. Dottrina
La tendenza a non considerare più la controparte come la principale minaccia alla propria sicurezza nazionale può avere effetti non irrilevanti sulle prospettive di riforma, modernizzazione e sviluppo del settore militare russo. Per oltre cinquant’anni, infatti, i meccanismi bellici di Mosca sono stati gestiti e plasmati in funzione sostanzialmente anti-americana e anti-Nato; abbandonare, anche se gradualmente, tale approccio, implica una sostanziale ridefinizione delle priorità tattiche e strategiche del comparto militare russo.
Alcune di queste trasformazioni sono già in atto, e la principale tra esse è la riforma delle forze armate che dovrebbe iniziare il prossimo dicembre sotto la spinta modernizzatrice del ministro della Difesa Anatoliy Serdyukov. La ratio della riforma poggia su alcuni assunti strategici fondamentali, tra cui la convinzione che la Nato non rappresenti più la principale minaccia futura e che nei prossimi anni la Russia non si troverà coinvolta nei grandi conflitti armati tipici del secolo scorso. L’obiettivo della riforma è la creazione di un forza armata in grado di rispondere alle esigenze belliche del post-guerra fredda, che richiedono capacità di sostenere sforzi militari di scala ridotta ma su più fronti, probabilmente nell’ambito di counter-insurgency operations ed in condizioni di asymmetric warfare.
Attualmente gli obiettivi della riforma sono oggetto di contrasto tra l’ala riformatrice capeggiata dal ministro Serdyukov (e spalleggiata, almeno ufficialmente, dal Presidente Medvedev) ed una fazione che raccoglie attorno alla figura dell’ex Capo di Stato Maggiore Yury Baluyevsky buona parte dell’establishment militare russo. Gli alti gradi dell’esercito, estremamente preoccupati dai sostanziali tagli alle forze armate (ed in particolare al corpo ufficiali) previsti dal piano di riforma, sostengono la posizione di Baluyevsky in seno al gruppo di lavoro del Consiglio di Sicurezza incaricato di elaborare la dottrina militare russa per il 21° secolo.
Facendo leva anche sull’intransigenza americana a favore dello scudo missilistico in Polonia e Repubblica Ceca, gli oppositori della riforma sono riusciti per lungo tempo a presentare la competizione con la Nato, l’impiego legittimo di forze nucleari come strumento strategico di dissuasione e la centralità della guerra su larga scala, come i cardini dell’approccio militare russo. Tuttavia, la riapertura del dialogo tra Mosca e Washington (esemplificato dalla scelta di Obama di abbandonare lo scudo) potrebbe sconfessare radicalmente gli assunti di quanti stanno rielaborando la dottrina militare, liberando il processo di riforma da quegli ostacoli intestini che ancora ne minano la realizzazione.
Verso il potenziamento dell’export-led
Se il clima di distensione bilaterale dovesse facilitare l’attuazione della riforma, questa potrebbe avere rilevanti implicazioni sulla struttura dell’intero mercato della difesa russo. Infatti, la drastica riduzione numerica delle forze armate prevista dal piano di Serdyukov (tagli per 400.000 unità ad un esercito che attualmente ne conta 1.400.000) comporterà molto probabilmente una contrazione (quantomeno numerica) della domanda interna di forniture ed equipaggiamenti militari. Per far fronte a questa nuova situazione, il settore della difesa dovrebbe intraprendere un ampio processo di trasformazione atto a bilanciare la riduzione della commesse nazionali attraverso una strategia più aggressiva in materia di esportazioni.
Nei decenni passati Mosca si è contraddistinta per l’intensa attività di esportazione nel settore degli armamenti. Tuttavia, in particolare durante la Guerra Fredda, l’attività dell’Unione Sovietica è stata mossa principalmente da obiettivi politici (mantenimento, se non allargamento, della propria sfera d’influenza) piuttosto che puramente economici e market-oriented. Oggi la Russia è il secondo esportatore mondiale di armi, alle spalle degli Stati Uniti e ben distanziato da leader europei come Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia: sebbene i dati disponibili mostrino un sostanziale declino delle esportazioni dal 2004 al 2007, un trend di ripresa caratterizza il biennio 2008-09.
Sviluppi recenti evidenziano una crescente intraprendenza di Mosca verso mercati storicamente legati alle esportazioni americane: il contratto in fase di definizione con l’Arabia Saudita, storico partner di Washington in materia di armamenti, rappresenta al meglio la crescente propensione del Cremlino verso l’esterno. Oltre al contratto da 2 miliardi di dollari con Riyhad, Mosca sta incrementando notevolmente le proprie esportazioni verso partner storici quali Siria, India e Venezuela. La trasformazione radicale delle forze armate non dovrebbe far altro che rafforzare tale tendenza.
Alla ricerca del valore aggiunto
Per poter essere competitiva verso l’esterno, ed in particolare per accrescere la propria presenza su mercati storicamente dominati da attori occidentali, l’industria della difesa russa dovrà compiere alcune scelte strategiche di ampio respiro. È probabile che vengano fatte importanti scelte di investimento verso settori specifici, aprendo il mercato russo alle importazioni. Così come previsto per le forze armate, anche l’industria degli armamenti dovrà affrontare un percorso di riforma che miri a raggiungere punte di eccellenza in alcuni settori, cercando di riorientare la produzione industriale verso comparti di nicchia funzionali alle crescenti esigenze di esportazione, anche verso paesi ad alti livelli tecnologici come alcuni membri Nato.
Alcune scelte strategiche sembrano andarsi delineando. Sebbene ad inizio settembre il primo Ministro Vladimir Putin abbia pubblicamente manifestato la propria insofferenza nei confronti di un settore aerospaziale in preoccupante difficoltà economica e tecnologica (i ritardi nella messa appunto dei missili Bulava rappresentano soltanto la punta di un iceberg), negli stessi giorni il governo russo ha incrementato la partecipazione statale al gruppo di aziende aeronautiche e aerospaziali United Aircraft Group per una valore di 200 milioni di dollari pagati in contanti. La priorità attribuita dal Cremlino al comparto aeronautico potrebbe aumentare le porosità del mercato russo in altri settori. A conferma di ciò, per la prima volta nella sua storia Mosca comprerà equipaggiamenti militari da un paese membro della Nato, la Francia, con la quale il Cremlino ha sottoscritto un contratto da un miliardo di dollari per la fornitura della nave porta elicotteri classe Mistral. Al contempo, Mosca ha avviato negoziati con il governo olandese per l’acquisizione di una serie di navi anfibie da trasporto per rimpiazzare alcune unità obsolete a disposizione della marina russa.
Da queste recenti evoluzioni emerge che , in linea con le scelte assunte dal Ministro della Difesa Serdyukov, anche l’industria della difesa debba orientare la propria attività verso una specializzazione che permetta alla Russia di ritagliarsi un proprio spazio di eccellenza nel mercato globale, pur rimanendo funzionale alle principali necessità delle forze armate nazionali alle prese con le nuove esigenze belliche figlie delle sfide del 21° secolo. Secondo tali tendenze, non sembra sbagliato aspettarsi una crescente interdipendenza tra i mercati della difesa dei paesi occidentali e quello russo. Interdipendenza che dovrà tuttavia confrontarsi continuamente con la volontà politica di collaborazione tra le parti e, soprattutto, con la capacità dell’industria russa di intercettare le crescenti richieste provenienti dal mercato globale.
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Vedi anche:
F. Dani: Perché gli Usa hanno rinunciato allo scudo antimissile in Polonia e Repubblica Ceca
Bonzanni: Le sanzioni all’Iran e il ruolo chiave della Russia
N. Sartori: Le ambizioni frustrate del riarmo russo