L’Unione per il Mediterraneo: un addomesticamento da completare
Pubblicato per la prima volta il 26/3/08.
Dove sta andando la politica europea verso il Mediterraneo? Nel Consiglio Europeo di Bruxelles del 13-14 marzo scorso gli stati membri dell’Ue hanno deciso di considerare l’Unione per il Mediterraneo, proposta dal governo francese, come un ampliamento del Processo di Barcellona. Questo riconduce sotto l’ala dell’Ue un progetto che Sarkozy aveva destinato ai soli stati del Mediterraneo e che quindi metteva a repentaglio la coesione europea. Apparentemente, dunque, una buona notizia sul fronte della coesione europea, ma qual è la prospettiva dal punto di vista della politica mediterranea dell’Ue?
Pem, Pev, Umed
Originariamente il Processo di Barcellona coincideva col Partenariato Euro-Mediterraneo (Pem), comprendendo ai suoi margini il Forum Mediterraneo (un’organizzazione di mero coordinamento fra alcuni paesi mediterranei) e, in qualche modo, il Gruppo dei Cinque + Cinque del Mediterraneo occidentale (un’organizzazione sostanzialmente dormiente). Nel 2004 al Pem si è giustapposta la Politica Europea di Vicinato (Pev), sottraendogli il grosso delle competenze economiche. Ora, il Consiglio sembra voler aggiungere l’UMed – un’iniziativa la cui ambizione è di sviluppare un numero limitato di grandi progetti (energia, trasporti, etc.) con sistemi che sarebbero meno burocratici e più privatistici di quelli impiegati dall’Ue. Un trittico Pem-Pev-UMed.
Appare evidente che, su questa strada, il Processo di Barcellona è destinato al sovraffollamento, alla frammentazione e all’eterogeneità e la politica mediterranea dell’Ue, invece di diventare più efficiente, potrebbe solo cadere nella confusione. C’è un problema di architettura, che però non è di coordinamento, ma di semplificazione. Come semplificare?
La semplificazione dovrà essere affidata a un qualche schema di sussidiarietà ed ha davanti a sé due sbocchi: il ridimensionamento dell’UMed o quello del Pem – la Pev avendo un profilo e dei compiti che appaiono relativamente autonomi nell’ambito del Processo di Barcellona allargato che il Consiglio di Bruxelles sembra prefigurare.
L’Ue esercita ormai molte competenze condivise con gli stati membri, nel cui ambito provvede delle regole generali che poi gli stati, e le altre entità territoriali (regioni, province), realizzano al proprio livello. Questa divisione del lavoro e delle competenze trova espressione anche nelle politiche esterne e comincia a consentire intraprese in cui l’Ue partecipa avendo accanto formazioni variabili di stati membri, con una presenza volontaria e non obbligatoria. Con l’applicazione del Trattato di Lisbona, la flessibilità aumenterà e, nella direzione che qui stiamo considerando, dovrà trovare realizzazioni anche più marcate e diffuse
Michael Emerson, in un recente saggio sul futuro dell’UMed Making Sense of Sarkozy’s Union for the Mediterranean, richiama in dettaglio l’esperienza della Dimensione Nordica, un quadro di cooperazione tecnico-economico regionale fra Norvegia, Islanda, Russia e Ue, cui partecipano in via opzionale stati membri che vi hanno interesse. Partecipano abitualmente gli stati baltici, ma hanno partecipato occasionalmente altri stati dell’Ue (fra cui la Francia). Una combinazione analoga la si ritrova nella Bsec, l’organizzazione di cooperazione centrata sul Mar Nero. L’UMed potrebbe diventare una cooperazione prevalentemente frequentata da stati Ue mediterranei assieme ad alcuni stati mediterranei non-Ue, con un ruolo fisso e consistente dell’Ue. In questo quadro la visione dell’UMed come luogo di realizzazione di grandi progetti farebbe senso. Ma il drammatico tenore politico che Sarkozy ha sempre teso a dare alla sua iniziativa verrebbe meno: come la Dimensione Nordica e la Bsec, l’UMed sarebbe destinata prevalentemente a una cooperazione tecnico-economica regionale o sub-regionale (secondo l’orignaria proposta francese), ma lascerebbe ad altre istanze i rapporti strategici (il contrario di quella proposta).
Dove ci si occuperebbe dei rapporti strategici?
I problemi strategici riguardanti il Mediterraneo sono il perseguimento della globalizzazione attraverso la costruzione del regionalismo euro-mediterraneo, la promozione delle riforme e dei diritti dell’uomo, il radicalismo islamico, il così detto dialogo fra culture diverse e l’immigrazione. Questi problemi sono tutti collegati alla risoluzione dei conflitti dell’area, a cominciare da quello arabo-israeliano. A causa del processo di rinazionalizzazione, tali problemi sono in gran parte tornati in seno ai governi nazionali. Perciò, mentre l’UMed si occuperebbe dei grandi progetti su base regionale/locale, sarebbero gli stati a riprendere sempre più in mano le questioni anzidette – con l’eccezione della globalizzazione, che riguarda competenze rilevanti ed esclusive dell’Ue.
Una risposta alternativa è che queste questioni strategiche siano perseguite investendone l’Ue e innalzando il livello politico-istituzionale del Pem nel più favorevole contesto Pesc che il Trattato di Lisbona fornisce. Questo è il progetto spagnolo di Unione Euro-Mediterranea, che punta anch’esso a stabilire un’unione, chiamando a parteciparvi gli stati sovrani della sponda Sud, non per realizzare dei progetti, però, ma per affrontare insieme i grandi problemi strategici che si sono appena detti.
Invece di una testa politica Pem/Ue corredata da un UNed tecnico-econoica a livello sub-regionale, si può pensare di semplificare seguendo la strada contraria: sviluppare l’UMed come testa politico-strategica della politica euro-mediterranea e lasciare al Pem il lavoro a livello della regione. La prima opzione si presta meglio a un ruolo di spicco dell’Ue; la seconda a un ruolo accresciuto dei governi. La Francia di Sarkozy propenderà certamente per la seconda opzione, ma anche molti altri paesi, malgrado la maglietta europeista.
Fatta questa speculazione di scenari politico-istituzionali, non si può non avvertire che la prospettiva è nondimeno poco chiara e poco facile. L’UMed ha costretto i membri dell’Ue a tornare a riflettere sul Mediterraneo, ma questo ritorno è avvenuto col piede sbagliato: non sono i grandi progetti la questione centrale, ma i problemi strategici che abbiamo detto. Inoltre, che i difficili rapporti fra l’Ue e i paesi del Mediterraneo divengano di più facile risoluzione mettendo le cose in mano ad un areopago di stati sovrani è una pura illusione; che questo areopago possa osservare le normali rotazioni che si osservano in ambiti internazionali, è un’altra illusione, destinata a cadere non appena arrivi il turno di Israele.
Bisognava procedere, sì, a una riforma del Processo di Barcellona, ma l’iniziativa di Sarkozy, per le sue caratteristiche e finalità, è stata una partenza sul piede sbagliato. Si può obbiettare che senza l’iniziativa probabilmente non ci sarebbe stata nessuna partenza. Come che sia, di qui al vertice di Parigi del 13-14 luglio prossimo, in cui l’UMed verrà varata, occorre lavorare per evitare che l’UMed passi senza che ci sia una adeguata riforma del Processo di Barcellona nel suo complesso.
Il Consiglio Europeo di Bruxelles ha chiesto alla Commissione di presentare un progetto. Questa è stata una decisione saggia. Nel frattempo, anche i governi dovrebbero preoccuparsi di contribuire perché ci sia una giudiziosa semplificazione del Processo di Barcellona. Contrariamente a quanto sembra ritenere il rapporto 2020 del Ministero degli Esteri, l’UMed, una volta ricondotta all’ovile europeo, non è una tranquilla transizione verso il rinnovamento del Processo di Barcellona, ma resta un periglioso passo. Il lavoro non è finito con l’addomesticamento europeo del processo originario di Sarkozy. Occorre ora evitare che l’iniziativa sia messa in pratica lasciando l’Ue politicamente più debole di fronte ai problemi strategici del Mediterraneo.