Le pressioni del Cremlino e l’incerto futuro dell’Ucraina
Quella che ormai sta volgendo al termine è stata un’estate particolarmente calda per le relazioni tra Russia ed Ucraina. Dalla fine di luglio i due paesi sono protagonisti di una preoccupante escalation di animosità, ritorsioni e minacce, iniziate formalmente con l’espulsione di due diplomatici russi accreditati ad Odessa. La risposta del Cremlino non ha tardato ad arrivare, nelle parole come nei fatti: da un lato il Presidente Medvedev ha accusato ufficialmente Kiev di perseguire politiche anti-russe, dall’altro ha prontamente ordinato l’espulsione del console ucraino a San Pietroburgo e di un consigliere dell’Ambasciata a Mosca, posticipando a data da destinarsi l’invio dell’Ambasciatore russo a Kiev.
L’avvicinarsi del fondamentale appuntamento elettorale di gennaio, quando in Ucraina si terranno le prime elezioni presidenziali del post-Rivoluzione Arancione, fornisce una chiave di lettura solo parziale della situazione; la posta in gioco, per il Cremlino, è il più ampio disegno di influenza geopolitica sullo spazio ex-sovietico.
Clima da campagna elettorale
È un’aria da campagna elettorale quella che si respira da qualche settimana sull’asse Mosca-Kiev, con il Cremlino pronto ad incalzare colpo su colpo le mosse politiche del Presidente filo-occidentale Viktor Yushchenko. Facendo ricorso ad una retorica molto simile a quella che caratterizzò le elezioni presidenziali del 2004, Mosca si sta avvicinando all’appuntamento elettorale del prossimo gennaio sferrando un poderoso attacco frontale al governo di Kiev.
I motivi del dissenso russo nei confronti dell’attuale amministrazione sono molteplici, e chiaramente enunciati in una lettera pubblica di Medvedev al Presidente ucraino: dal presunto sostegno di Kiev alla Georgia durante la guerra del 2008, al sabotaggio delle attività navali russe presso la base di Sebastopoli, passando per le accuse di revisionismo storico, di ingerenza in ambito religioso e di violazione dei diritti di proprietà nei confronti degli investitori russi nel paese. Restano più che mai vive, inoltre, le recriminazioni relative all’adesione ucraina alla Nato e alla cattiva gestione delle attività di transito energetico verso l’Europa.
Le critiche alla condotta politica di Yushchenko, tuttavia, non lasciano trasparire alcun risentimento russo nei confronti dei cittadini ucraini. Anzi, appellandosi direttamente a quelli che definisce “fratelli”, Medvedev li invita a resistere alla tentazione di dividere artificialmente i due popoli e, implicitamente, a sostenere la posizione cooperativa del candidato filorusso Viktor Yanukovych, già saldamente in testa ai principali sondaggi elettorali.
Un messaggio più ampio
Considerando la debolezza politica di Yushchenko, la cui leadership è altamente impopolare tra i cittadini ucraini e la cui sconfitta alle presidenziali è data per certa, l’invettiva estiva contro il Presidente in carica non può avere un fine esclusivamente elettorale e va pertanto analizzata utilizzando una chiave di lettura più ampia. Le parole di Medvedev, infatti, arrivano in contemporanea alla proposta di emendamento alla legge federale della difesa sull’autorizzazione delle missioni militari all’estero. La proposta, già inoltrata alla Duma, mira a stabilire un meccanismo legale a disposizione del Cremlino per autorizzare interventi armati al fine di contrastare attacchi subiti da forze russe dislocate all’estero, contrastare o prevenire aggressioni nei confronti di stati terzi, proteggere i cittadini russi all’estero ed infine combattere la pirateria e assicurare la libertà di navigazione.
L’atteggiamento aggressivo di Medvedev denota la necessità russa di lanciare un monito chiaro e diretto non soltanto alle autorità ucraine (Yanukovych incluso), ma anche a quei paesi dell’area ex-sovietica come Bielorussia, Kirghizistan, Turkmenistan ed Uzbekistan, che iniziano a manifestare crescente insofferenza nei confronti delle ambizioni di guida politica di Mosca. E non a caso, il Cremlino lo fa mostrando i muscoli verso l’Ucraina, l’emblema dell’ambizione imperiale russa, ma anche la sede della Flotta del Mar Nero stanziata presso la base di Sebastopoli (il cui contratto di affitto scade nel 2017), e la patria di 8 milioni di cittadini di etnia russa residenti nella parte orientale del paese ed in Crimea. Il messaggio è chiaro: il governo di Mosca non è disposto a rinunciare a secoli di storia, cultura e religione comuni, a legami economici e politici consolidati da anni di cooperazione (o meglio, dominio) per far spazio a progetti e ambizioni geopolitiche di potenze straniere.
E a questo punto l’avvertimento arriva anche ai governi occidentali, ed in particolare a quello americano: la gestione della missione di Biden in Ucraina, a poche settimane dal reset nelle relazioni tra Russia e Stati Uniti, si è rilevata inopportuna. Non soltanto perché il vice Presidente ha risollevato esplicitamente la questione dell’adesione di Kiev alla Nato, ma anche perché la sua retorica incentrata sull’indipendenza ucraina ha riacceso la diffidenza russa nei confronti di Washington, proprio mentre gli sforzi di Obama provavano a creare un clima di dialogo leale tra le parti.
Sviluppi futuri
L’inasprimento estivo delle relazioni tra Mosca e Kiev prefigura, da qui a gennaio (e anche oltre), alcuni possibili sviluppi geopolitici. Lo scenario peggiore, ma evidentemente anche meno realistico, è rappresentato dall’intervento militare russo in Ucraina. Mosca potrebbe provare ad alzare la tensione in Crimea, giocando le carte del nazionalismo e separatismo russo, e della difesa degli interessi militari presso la base di Sebestopoli, in modo da estendere il paradigma della guerra in Georgia allo scacchiere ucraino. Questa eventualità appare, tuttavia, decisamente improbabile per una serie di motivi sia militari che politici. Dal punto di vista militare, memore dello stato di degrado (tecnico ed operativo) dell’esercito russo evidenziato dal conflitto in Georgia, il Cremlino è consapevole che un’offensiva in territorio ucraino rischierebbe di portare ad una debacle di proporzioni notevoli, con fortissime ripercussioni per la credibilità internazionale ed il prestigio regionale del paese. Dal punto di vista politico, inoltre, l’attuale vantaggio elettorale del candidato filo russo Viktor Yanukovych renderebbe superflua, se non controproducente, qualsiasi forzatura militare da parte di Mosca.
Tuttavia, se la retorica aggressiva di Medvedev dovesse alimentare in questi mesi il risveglio del sentimento nazionale ucraino, il rafforzamento della candidatura di Yulia Tymoshenko, al momento in ritardo nei sondaggi elettorali, potrebbe rappresentare un’interessante variabile per l’evoluzione delle relazioni sull’asse Mosca-Kiev. In questo scenario la vittoria della Tymoshenko, ex paladina della Rivoluzione Arancione, ma attualmente ben distante dalle posizioni di Yushchenko, potrebbe favorire un atteggiamento di equidistanza da Mosca e Washington, scardinando il paradigma dicotomico est-ovest che caratterizza la politica ucraina del post-Guerra Fredda. Di fatto, negli ultimi mesi il Primo Ministro ha dimostrato di saper dialogare con il Cremlino (vedi recenti accordi energetici) pur non abbandonando la vocazione europea per il suo paese: la sua elezione potrebbe rivelarsi la vera soluzione pro-Ucraina, e probabilmente l’unico compromesso accettabile sia da Mosca che da Washington.
A questo punto l’atteggiamento delle due potenze diventa centrale. Washington, in quanto motore primo del dialogo bilaterale con la Russia, dovrebbe impegnarsi a non forzare la mano su tematiche sensibili per il Cremlino, abbandonando in primis l’idea di un’adesione ucraina alla Nato, i cui effetti sarebbero tutti da verificare. Mosca, anche a causa delle attuali congiunture economiche e alle pessime condizioni delle sue forze armate, avrebbe tutto l’interesse a mantenere relazioni amichevoli con un governo ucraino non ostile come quello di Yushchenko, dimostrando al contempo la propria capacità di esercitare il veto sull’accesso delle ex Repubbliche Sovietiche nell’Alleanza Atlantica.
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Vedi anche:
N. Sartori: Le ambizioni frustrate del riarmo russo
M. Davì: La Russia in cerca di una nuova architettura della sicurezza europea