Come risolvere la controversia sulla pesca tra Italia e Libia
Pescherecci italiani di Mazara del Vallo sono stati sequestrati dai libici a fine luglio poiché sorpresi a pescare in acque di giurisdizione libica, e poi rilasciati, i primi di agosto, grazie al pronto intervento della nostra diplomazia. Ma l’ambasciata libica a Roma ha ammonito che la prossima volta la pesca in acque di competenza libica avrebbe comportato sanzioni più pesanti. Le acque del Canale di Sicilia sono abitualmente frequentate dai nostri pescatori e il contenzioso con gli Stati frontisti è frequente, specialmente per quanto riguarda la Tunisia, che ha una delimitazione delle frontiere marittime molto complicata.
Le pretese sul Golfo della Sirte…
Con la Libia la soluzione dovrebbe essere più semplice, dopo la conclusione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione del 30 agosto 2008. La Libia rivendica un mare territoriale di 12 miglia, pretesa conforme al diritto internazionale del mare. Il mare territoriale si calcola a partire dalla linea di base, che può essere la linea di costa a bassa marea oppure una linea retta, che unisce i punti più sporgenti di una costa molto frastagliata o la linea di chiusura di una baia, che risponda a precisi requisiti (c.d. regola del semicerchio).
La chiusura del Golfo della Sirte, con una linea che congiunge idealmente Bengasi e Misurata e si estende per 307 miglia marine, non è conforme al diritto internazionale e la pretesa libica di considerare il Golfo della Sirte come baia storica, in tutto e per tutto soggetta ai suoi diritti sovrani, è infondata ed è stata contestata da quasi tutti gli Stati mediterranei, inclusa l’Italia. Per non parlare degli Stati Uniti, che sono penetrati più volte nella Sirte per affermare la libertà di navigazione: nel 1986 un’esercitazione della marina Usa dette luogo ad uno scontro a fuoco.
..e la questione delle zone di pesca
La Libia ha proclamato una zona di pesca di 62 miglia, calcolata dal limite esterno del mare territoriale, e ovviamente la sua estensione varia, a seconda che il calcolo venga effettuato dalla linea di costa o dalla linea di chiusura del Golfo della Sirte, che racchiude un enorme corpo di acque. Comunque la zona di pesca libica è al disotto della linea mediana con le acque adiacenti alle coste italiane e, sotto questo profilo, la sua legittimità non pone particolari problemi (probabilmente ne suscita la sua delimitazione laterale con l’Egitto e la Tunisia). Nella zona di pesca lo sfruttamento delle risorse ittiche è riservato alle navi dello Stato costiero ed i terzi possono esservi ammessi solo mediante accordo, normalmente a titolo oneroso. A quanto sembra la Libia intende trasformare la zona di pesca in una vera e propria zona economica esclusiva (Zee), la cui regolamentazione è disciplinata dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare.
L’Italia, Stato frontista, non ha proclamato una zona di pesca o una Zee, ma con una legge del 2006 ha previsto l’istituzione di zone di protezione ecologica, la cui concreta determinazione dovrà avvenire con decreto e i cui limiti esterni sono demandati ad un accordo con gli Stati adiacenti e frontisti. In attesa, dovrà essere seguito il criterio della linea mediana. Con la Libia, l’istituzione di una zona di protezione ecologica non dovrebbe comportare nessun problema.
Il nodo principale resta quindi la pesca, a parte la delimitazione della piattaforma continentale, compreso il punto dove si incontrano le piattaforme di Italia, Libia e Malta, che la Corte internazionale di giustizia, nella sentenza del 1985, ha lasciato indeterminato.
Quale soluzione?
Occorre premettere che la competenza a concludere accordi di pesca è una competenza comunitaria, a differenza di quella volta a stabilire i confini marittimi che resta nella sovranità degli Stati membri. Ma l’Ue ha finora incontrato notevoli difficoltà nel Mediterraneo. Ecco quali potrebbero essere le linee per una proficua collaborazione:
– il punto di partenza dovrebbe essere il Trattato italo-libico del 30 agosto che stabilisce un “nuovo partenariato bilaterale”, nel cui ambito è prevista una collaborazione economica e industriale, che ha per oggetto anche la pesca (art. 17). In materia, il 10 giugno è stato firmato un Memorandum d’intesa, un primo passo verso una maggiore collaborazione;
– dovrebbero essere riconosciuti i diritti storici dell’Italia, i cui cittadini hanno pescato abitualmente nelle acque adiacenti alle coste libiche;
– nella zona di pesca libica dovrebbero essere garantite le tradizionali libertà dell’alto mare, tranne la pesca. In particolare non dovrebbe essere impedita in alcun modo la libertà di navigazione;
– qualora sia commessa una violazione delle leggi dello Stato costiero, le navi fermate e gli equipaggi dovrebbero essere prontamente rilasciati, dietro pagamento di una cauzione o altra forma di garanzia. Pene detentive devono essere escluse;
– qualora navi italiane siano catturate, occorre attivare immediatamente il meccanismo del pronto rilascio di navi con una procedura da instaurare dinanzi al Tribunale internazionale per il diritto del mare, che ha ormai un’ampia casistica in materia. La procedura può essere iniziata solo dallo Stato della bandiera (cioè l’Italia), ma questo può autorizzare persone fisiche o giuridiche ad intervenire a suo nome. Sarebbe opportuno che un provvedimento di legge organico, valido per tutte le aree di tradizionale pesca italiana, autorizzasse proprietari di navi da pesca e associazioni di pescatori ad intervenire di fronte al Tribunale;
– infine occorre che qualsiasi trattativa con la Libia non comporti il riconoscimento del Golfo della Sirte come baia storica, con conseguente disconoscimento delle libertà di navigazione e sorvolo. È da prevedere che da parte libica siano avanzate pretese del genere, anche facendo valere il fatto che l’Italia avrebbe fatto la stessa cosa con la proclamazione del Golfo di Taranto come baia storica. Ma si tratta di situazioni incommensurabili. L’accettazione della storicità del Golfo della Sirte non sarebbe solo contraria agli interessi italiani, ma anche a quelli dei nostri alleati e solleverebbe notevoli perplessità nei rapporti transatlantici, specialmente ora che le relazioni libico-americane sono state rimesse in discussione a causa del ritorno trionfale in patria del libico condannato per la strage di Lockerbie.
Necessità di un approccio multilaterale
I rapporti italo-libici in materia di pesca costituiscono solo un momento di una questione più ampia, che riguarda la disciplina dello sfruttamento delle risorse ittiche e della loro conservazione nell’intero Mediterraneo. Le politiche bilaterali dovrebbero essere parte di una più ampia visione che ponga il multilateralismo al servizio di una politica di cooperazione che dovrebbe essere la base, come insegna la stessa Convenzione del diritto del mare, per la disciplina dei mari semichiusi, qual è il Mediterraneo. I fori di discussione non mancano, dalle Conferenze sulla gestione delle risorse viventi nel Mediterraneo indette su iniziativa della Commissione europea, alla Commissione generale della pesca nel Mediterraneo. Un quadro più efficace potrebbe essere ora offerto non tanto dall’Unione per il Mediterraneo, di cui la Libia non fa parte, ma dalla Politica europea di vicinato. Anzi l’Italia dovrebbe farsi promotrice di un’iniziativa in tal senso.
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Vedi anche:
N. Ronzitti: Luci e ombre nel trattato tra Italia e Libia