Un ombrello nucleare Usa sul Golfo?
In occasione del Forum regionale dell’Asean in Tailandia, il segretario di Stato Hillary Clinton ha accennato alla possibilità che gli Usa estendano agli alleati del Golfo un ombrello nucleare nel caso l’Iran si doti di un’arma nucleare. “Terremo la porta aperta”, ha confermato la Clinton. Ma ha poi preannunciato “azioni volte a migliorare la difesa dei nostri partner nella regione”, aggiungendo: “se gli Stati Uniti estendono un ombrello difensivo sulla regione, e se fanno ancora di più per sostenere la capacità militare di quelli del Golfo, è improbabile che l’Iran si trovi ad essere più forte o più sicuro, perché non sarà in grado di intimidire o dominare, come apparentemente crede di poter fare una volta che abbia l’arma nucleare”.
Un dialogo che si allontana
L’amministrazione Obama è partita con l’offerta all’Iran di un dialogo senza precondizioni. Tuttavia, le elezioni presidenziali in Iran hanno dato un risultato avverso alla strategia che l’amministrazione si apprestava a seguire.
L’amministrazione probabilmente si aspettava una vittoria dei conservatori pragmatici come Ali Ardashir Larijani, il presidente del Parlamento, che gli ambienti democratici di Washington ritengono interlocutori con forti ambizioni regionali, ma responsabili e pragmatici, insomma interlocutori politici, non ideologici. Ma la guida suprema Ali Khamenei ha favorito – e magari forzato – la nuova vittoria dei conservatori radicali del presidente uscente Mahmud Ahmadinejad, forse proprio per evitare che avesse luogo un dialogo. Che gli è forse apparso troppo rischioso per la stabilità del regime, anche se condotto dai conservatori pragmatici. Successivamente, la dura reazione della società urbana ai risultati delle elezioni ha aumentato l’insicurezza dei radicali e ulteriormente allontanato il dialogo. Non si può escludere che un giorno il dialogo si aprirà, ma ciò non avverrà sicuramente in tempi brevi, non prima che Ahmadinejad si senta di nuovo saldamente in sella, cosa che oggi non è.
La riscoperta della deterrenza
Dopo le elezioni Obama ha mantenuto la sua strategia di dialogo, ma sa che essa potrebbe rivelarsi inattuabile e ha prospettato un indurimento delle sanzioni in caso l’Iran rifiuti il dialogo entro la fine dell’anno. È in questo stesso ordine di idee che alla riunione dell’Asean la Clinton ha detto che gli Usa mantengono “la porta aperta”, ma stanno considerando quali misure militari prendere nel caso i negoziati sul programma nucleare iraniano non riprendano, o falliscano una volta ripresi. Mentre Gerusalemme vorrebbe un intervento militare diretto, l’amministrazione ha dunque in mente un eventuale impiego degli strumenti militari per la deterrenza e il contenimento.
Torna dunque in auge il problema della sicurezza del Golfo, un classico della politica internazionale. Negli anni ottanta, gli Usa fronteggiarono l’Iran rivoluzionario di Khomeini, e protessero i propri alleati petroliferi della penisola arabica, limitandosi ad appoggiare il balance of power della regione (il sostegno all’Iraq nella guerra con l’Iran, il “reflagging” delle navi kuwatiane, etc.) con una presenza dall’esterno, offshore e over the horizon.
L’invasione del Kuwait mise termine a questa configurazione e diede il via al doppio contenimento (dual containment) contro Iran e Iraq, che richiese però una presenza stanziale e diretta delle forze americane sul suolo degli alleati. Questa presenza diede luogo a gravi problemi interni, favorì le attività di Al Qaida, e alla fine degli anni novanta era palese a tutti che essa esponeva a rischi sia gli alleati sia gli Usa e doveva pertanto essere sostituita da un’altra strategia di sicurezza regionale.
L’invasione dell’Iraq e l’abbattimento del regime del Baath doveva dare luogo a una democrazia non più aggressiva, probabilmente a un’alleanza benevola fra Iraq e paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Ccg), e quindi a una regione per la cui sicurezza non ci sarebbe stato più bisogno di un ruolo diretto degli Usa, tutt’al più, ancora una volta, di una presenza “over the horizon”.
Nel vuoto aperto dalle fole dei neocons, non solo l’Iran è riuscito ad allargare il proprio ruolo all’insieme del Medio Oriente, ma nel frattempo ha seriamente sviluppato le sue capacità nucleari. Per cui, oggi, gli Usa non solo non si possono sottrarre al problema della sicurezza del Golfo, ma devono mettere nell’equazione anche l’eventuale capacità nucleare dell’Iran e il problema di rassicurare i loro alleati regionali rispetto a questa eventualità.
Un ombrello nucleare per quale alleanza?
Quella della Clinton è dunque qualche cosa di più di una battuta. In effetti, indebolite le prospettive del negoziato politico su cui aveva puntato Obama, è necessario sapere che cosa gli Usa faranno se l’Iran andrà avanti imperterrito per la sua strada.
Questa necessità è stata evocata da autorevoli analisti come Anthony H. Cordesman e Geoffrey Kemp. Entrambi hanno sostenuto che, affievolendosi la possibilità di un accordo sulla questione nucleare, gli Usa devono indicare le misure che intendono prendere per la sicurezza e la stabilità del Golfo e dell’insieme del Medio Oriente. La Clinton, sia pure in termini più generici, ha detto la stessa cosa. Si è però limitata al Golfo, lasciando da parte l’insieme della regione, dove ci sono altre potenze nucleari, amiche e nemiche, il che rende la questione ancora più complessa.
Che cosa significa un ombrello americano nucleare sulla regione e quali sono le sue prospettive? Può essere esteso bilateralmente o nel quadro di un alleanza multilaterale, come la Nato in Europa. Ma le condizioni politiche per un’alleanza multilaterale nel Golfo non esistono. I paesi del Ccg hanno portato avanti un’apprezzabile opera di integrazione economica, ma sul piano politico non mostrano sufficiente coesione fra loro. L’equilibrio interno di alcuni emirati più piccoli non è influenzato negativamente dalla concessione di basi militari, in particolare navali, alle potenze occidentali – come gli Usa a Bahrain e, più recentemente, la Francia in Qatar. Ma diverso è il caso dell’Arabia Saudita, che non ha ancora smaltito l’instabilità politica creata dallo stazionamento delle forze americane sul suo territorio negli anni novanta. È possibile, tuttavia, pensare ad una rete di alleanze bilaterali che, pur non concretandosi in installazioni sul territorio degli alleati, si strutturi in modo da rendere possibile una pianificazione congiunta.
Ambivalenze regionali
In realtà, anche questa formula appare improbabile perché, a ben vedere, un impegno militare strutturato non è coerente con le percezioni fondamentali di sicurezza dei paesi del Ccg. Per questi paesi il miglior mondo possibile è quello in cui, avendo una garanzia americana di ultima istanza “over the horizon”, cioè non visibile, essi rimangono liberi nella regione di avere accordi un po’ con tutti e quindi con nessuno. Inoltre, le alleanze formali con gli Usa e l’Occidente, oltre un certo livello, indeboliscono la stabilità e legittimità politica di chi le contrae perché sono viste come alleanze con i garanti di Israele. Una buona parte delle élites del Golfo pensa che, sullo sfondo di una fondamentale alleanza con gli Usa e l’Occidente, si devono lasciare margini sufficienti per un dialogo con gli antagonisti della regione. Che è visto come la vera chiave della sicurezza nazionale e regionale.
Due analisti dell’ Inegma, un think tank di Dubai, così concludono il loro commento sulle dichiarazioni della Clinton: “Sebbene alcuni stati del Golfo potranno denunciare questa politica, per tutti il deterrente in questione sarà benvenuto per tutto il tempo che necessiteranno per lavorare ai loro programmi nucleari e ombrelli difensivi”. In alcuni paesi del Ccg lo sviluppo di un’industria nucleare per usi civili è già iniziata, ma lo sviluppo di un deterrente nucleare appare in realtà piuttosto lontano. I governi prenderanno perciò le distanze dal deterrente americano, ma esso sarà benvenuto purché continui ad avere la forma attuale di accordi militari bilaterali e forniture di armamenti convenzionali, ma non quella di un’alleanza multilaterale tipo Nato.
Perciò, l’ombrello sarà solo Usa. Servirà? Certamente modificherà i calcoli iraniani, ma forse non più di tanto le percezioni locali né potrà avere un impatto concreto sul tipo di conflitti che agitano la regione o prevenirli. Per questo, le sanzioni economiche e le misure di deterrenza devono di sicuro accompagnare l’iniziativa diplomatica volta ad aprire un dialogo politico, ma, nei limiti del possibile, si dovrebbe continuare a puntare su quest’ultima.
Roberto Aliboni è vicepresidente dello IAI.
Vedi anche:
Testo originale della dichiarazione del segretario Clinton:
“”.
R. Alcaro: L’Iran, Obama e la lezione europea
R. Matarazzo: Obama e il rebus Iran