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Global governance

Le novità del G8 di Trieste

2 Lug 2009 - Federiga Bindi - Federiga Bindi

Il vertice dell’Aquila sarà sicuramente il momento di massima visibilità della Presidenza italiana del G8. Tuttavia, la riunione dei ministri degli Esteri svoltasi a Trieste il 26 giugno ha avuto un ruolo importante ed innovativo sotto diversi punti di vista.

Un nuovo formato
In un momento in cui ci si interroga su quale ‘Gx’ sia più utile orientarsi per il futuro della governance globale, per l’incontro di Trieste si è scelto un modello a cerchi concentrici: si è partiti dalla cena tra i soli ministri degli esteri del G8 per arrivare all’ultima riunione in cui, tra paesi e organizzazioni internazionali, erano presenti 60 delegazioni. Trieste ha mostrato che è necessario essere inclusivi e rappresentativi, se si vuole essere credibili, ma anche che, via via che il tavolo si allarga, la discussione da franca e diretta si fa sempre più cerimoniale e scontata. Conclusione: il G8 non può essere sostituito dal G20, ma probabilmente neanche dal G13-14 e l’approccio tematico proposto dalla presidenza italiana – ‘è l’argomento in agenda a decidere il formato non viceversa’ – sembra alla fine il più pragmatico ed efficace.

Il vertice di Trieste è stato importante soprattutto perché ha affrontato tre nodi irrisolti dell’agenda internazionale: l’Afghanistan e il suo vicinato, l’Iran e la non proliferazione nucleare.

Dal nodo afgano…
L’Afghanistan è stato al centro della riunione. Laddove il maggiore elemento di novità della nuova ‘Afghanistan strategy’ americana è il binomio Afghanistan-Pakistan (AF-PAK), per altro avversato dai pachistani e fonte di frizioni in ambito regionale e non solo, il ministro degli esteri italiano Franco Frattini ha rilanciato l’esigenza di coinvolgere tutti i paesi dell’area, a cominciare dall’Iran, nella ricerca di una soluzione al problema afgano. L’Iran ha grande interesse alla stabilizzazione dell’Afghanistan, anche a causa dei traffici di droga che passano (e in parte restano) sul suo territorio e per la storica e viscerale contrapposizione tra il regime degli ayatollah e i talebani.

Nonostante l’assenza iraniana e la mancata photo opportunity della stretta di mano tra il segretario di Stato Hillary Clinton e il ministro degli esteri iraniano Manoucher Mottaki, lo sforzo della presidenza italiana di accrescere il livello di coordinamento tra i vari attori nazionali, regionali e internazionali presenti in Afghanistan è uscito premiato da Trieste.

…a quello iraniano
L’esercizio più difficile, tuttavia, è consistito nella quadratura del cerchio sulla dichiarazione finale sull’Iran. Se da un lato era necessario sostenere gli sforzi dei riformisti, come fortemente sottolineato da Francia e Gran Bretagna, dall’altra bisognava non sconfessare la linea del dialogo perseguita dall’amministrazione Obama e mantenendo on board russi e giapponesi, più pragmatici nell’approccio verso il riconfermato presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad. I russi in particolare hanno teso a considerare la recente crisi in Iran come un problema interno. Il tutto accanto, da un lato, al silenzio della Lega Araba e dei paesi arabi in genere, preoccupati che ‘l’epidemia democratica’ si possa espandere tra i loro popoli e, dall’altro, all’evidente contraddizione di un Occidente che si fa promotore della democrazia in Iraq e Afghanistan, ma poi resta passivo di fronte a una rivolta, quella iraniana, che è nata a difesa di fondamentali principi democratici. Così, nel documento finale sull’Iran approvato a Trieste si è raggiunto un difficile compromesso: da una parte si è dichiarato il pieno rispetto per la sovranità dell’Iran, dall’altra si sono deplorate le violenze post elettorali ed espresso solidarietà con le vittime.

Il dialogo indo-pachistano
Un’altra storica, e non meno importante, stretta di mano è stata invece quella tra il ministro degli esteri pakistano Shah Mehmood Qureshi e il nuovo ministro degli esteri indiano Somanahalli Mallaiah Krishna. Si è trattato del primo incontro fra i due ministri dopo l’attentato terroristico di Mumbai del novembre scorso. La positiva maturazione dei complicati rapporti indo-pakistani è forse uno dei risultati più importanti conseguiti dalla presidenza italiana: i pakistani sembrano iniziare a rendersi conto che, se la maggior parte delle loro truppe rimane sul fronte indiano, quello afgano resta molto debole e scoperto. L’aumento del consenso in Pakistan per l’azione del governo contro i talebani è un altro elemento che fa ben sperare per il futuro.

Per quanto riguarda la questione nucleare, infine, mentre Obama propone come obiettivo finale l’opzione zero in tema di proliferazione nucleare, il vertice di Trieste ha confermato che le difficoltà maggiori nella preparazione della conferenza di riesame del Trattato di non proliferazione (Tnp) – che avrà luogo il prossimo anno – dipendono anche da una divergenza intraeuropea, in particolare tra tedeschi e francesi. In questa fase di rientro nella Nato, i francesi sono infatti molto tiepidi nei confronti della ‘opzione zero’ – l’eliminazione totale delle armi nucleari – riproposta da Obama. Nonostante il lavoro degli sherpa e dei direttori politici, il testo finale di Trieste è arrivato con varie ‘parentesi’ sul tavolo dei ministri. Nella parte relativa al disarmo è stata inserita una frase, messa a punto dal ministro Frattini ed dal direttore politico americano William Burns, che impegna i membri del G8 a ‘creare le condizioni per un mondo senza armi nucleari in sintonia con gli obiettivi del Tnp’.

Da qui arriviamo all’ultimo punto: gli europei e la governance globale. È ora che gli europei decidano cosa vogliono fare da grandi. La presenza di ben tre rappresentanti dell’UE, oltre ai quattro rappresentanti di paesi Ue al tavolo del G8, è davvero insostenibile. Gli americani, dal canto loro, devono decidere quale Europa meglio risponde ai loro interessi globali. Se veramente vogliono – come dichiarano – un’UE forte e unita, anziché cercare di condizionarne le dinamiche interne – ad esempio premendo per l’entrata della Turchia – dovrebbero insistere affinché gli europei si esprimano con una voce sola nei consessi internazionali. Questa appare come una delle condizioni chiave anche per rilanciare i progetti di riforma della governance globale.