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Russia

Le ambizioni frustrate del riarmo russo

28 Lug 2009 - Nicolò Sartori - Nicolò Sartori

L’ambiziosa riforma del settore militare intrapresa dal governo russo, e affidata dal Presidente Dimitri Medvedev al ministro della difesa Anatoly Serdyukov, è stata recentemente oggetto di aspre critiche da parte dell’establishment militare e di influenti ambienti governativi. Lo stesso primo ministro Vladimir Putin, durante una sessione governativa di inizio giugno, ha biasimato pubblicamente l’operato del Ministero della difesa, sottolineando gli scarsi risultati finora raggiunti. Al contempo la riforma, considerata da molti come il primo vero tentativo di riorganizzazione militare dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, deve far fronte alla strenua opposizione degli alti gradi delle forze armate. Questi ultimi paventano che i tagli e i ridimensionamenti previsti da Serdyukov possano indebolire il potere militare a favore di quello politico, nonché mettere a repentaglio l’integrità territoriale e la sovranità della Russia.

Le lezioni del conflitto georgiano
Il blitz in Georgia dello scorso agosto ha reso evidente l’esigenza di un’accelerazione della riforma del settore militare. Nonostante il rapido successo, infatti, le forze armate russe hanno mostrato sul campo una serie di lacune tecniche e operative che mal si conciliano con le ambizioni di potenza di Mosca. La personale dottrina militare annunciata a fine settembre da Medvedev a margine di una sessione dell’esercitazione militare “Stability 2008” pone l’enfasi sulla razionalizzazione della gestione del personale e sulla modernizzazione degli armamenti. Il Ministro della Difesa Serdyukov e il suo staff hanno preso spunto dalle parole del Presidente per intensificare la riorganizzazione delle forze armate attraverso un imponente piano di tagli strutturali.

In primo luogo la riforma prevede massicci tagli al personale, e mira a ridurre di 400.000 unità un immenso esercito che attualmente conta 1.400.000 effettivi. Il ridimensionamento andrà a colpire in particolar modo il corpo ufficiali: l’obiettivo infatti è di rimuoverne oltre 200.000 (da 355.000 a 150.000) entro il 2012. Per il rapporto numerico tra ufficiali e soldati l’obiettivo è di avvicinarsi a quello esistente in molti paesi occidentali, che è di 1 a 15, mentre in Russia è di circa 2-2,5 ogni 15. A farne le spese saranno generali (da 1.107 a 886), colonnelli (da 25.000 a 9.000), maggiori (da 99.500 a 25.000) e capitani (da 90.000 a 40.000). I tagli colpiranno anche il personale del ministero della difesa e dello Stato Maggiore, che passerà dalle circa 27.000 unità attuali ad 8.500 effettivi, mentre è prevista una drastica riorganizzazione degli oltre sessanta istituti di formazione militare che verranno ridotti a dieci.

L’obiettivo principale è di creare una forza armata che sappia rispondere alle esigenze belliche del 21° secolo: un esercito altamente specializzato, rapidamente dispiegabile ed in grado di agire su più fronti contemporaneamente, anche attraverso l’abolizione della coscrizione obbligatoria e la completa professionalizzazione dei quadri militari. Il primo passo verso tale obiettivo è il rafforzamento del corpo dei sottufficiali, troppo spesso sottovalutato dalle autorità militari russe. Un secondo aspetto chiave è la riforma strutturale dei livelli di comando: il piano di Serdyukov è di ridurli da quattro a tre, rimpiazzando le imponenti divisioni da 10-15.000 soldati con brigate più snelle e flessibili composte da circa 3.000 uomini. Viene anche enfatizzato il ricorso a criteri meritocratici per la selezione dei militari, con l’introduzione di test fisici e di competenza. A tali provvedimenti si affianca un nuovo approccio verso la figura del soldato: la riforma infatti prevede un miglioramento dello status e del trattamento dei soldati (retribuzioni, alloggi, assistenza medica e istruzione dei figli).

Ritardi e difficoltà dell’ammodernamento
La guerra di Georgia ha rappresentato un importante banco di prova anche per gli equipaggiamenti e gli armamenti a disposizione delle forze armate, confermando inequivocabilmente lo stato di degrado in cui versa l’intero comparto militare. Le attrezzature belliche si sono rivelate obsolete, i sistemi di comando e controllo inadeguati e inefficienti. Ciò ha indotto le autorità russe ad annunciare un nuovo piano di equipaggiamento dei soldati. Il Cremlino ha incrementato del 28% il bilancio della difesa per il 2009 (pari a circa 65 miliardi di euro), ma soprattutto ha annunciato di volerne destinare il 70% ad attività di ricerca e sviluppo e all’acquisizione di materiale (nel 2006 tali attività coprivano solo il 30% degli stanziamenti per la difesa).

Le priorità del governo russo in materia di armamenti sono enunciate nello State Armament Program 2007-15: l’ambizioso programma, 110 miliardi di euro in 7 anni, si concentra sia sulle capacità strategiche che su quelle convenzionali da acquisire entro il 2015. A livello strategico è prevista l’acquisizione di 36 nuovi silos, 66 missili intercontinentali Topol-M, 30 missili balistici Bulava, e la produzione dei bombardieri strategici Tupolev Tu-160 e Tu-95 dotati di nuovi missili a lungo raggio Raduga Kh-555 e Kh-101. Per quanto riguarda le forze convenzionali, gli acquisti includono tra gli altri 60 missili tattici Iskander, 700 carri-armati T-90, 1.500 veicoli per il trasporto delle truppe BTR-80, 58 cacciabombardieri Sukhoi Su-34, 12 addestratori avanzati Yak-130, 18 batterie di missili terra-aria S-400, ed una lista di circa 20 navi e 158 elicotteri di vario tipo.

Nei fatti, tuttavia, la situazione è meno rosea di quanto prospettato da questo programma. L’industria militare russa sta incontrando seri problemi nello sviluppo e nella produzione degli armamenti, a causa di evidenti lacune tecniche e di una serie difficoltà nella gestione dei tempi e delle risorse. Numerosi progetti sono in ritardo sulla tabella di marcia sia dal punto di vista della sperimentazione che da quello della produzione. Il caso più eclatante è quello del missile balistico navale Bulava: avrebbe dovuto entrare in servizio nel 2008, ma una serie di test di volo fallimentari ne hanno notevolmente rallentato il dispiegamento. Lo stesso vice primo ministro Sergei Ivanov è recentemente intervenuto per fare chiarezza sulla situazione, annunciando ulteriori ritardi dovuti alla necessità di effettuare nuovi test tecnici dopo l’estate.

Per far fronte agli insoddisfacenti risultati ottenuti dallo State Armament Program 2007-15, il Ministero della difesa ha sviluppato in gennaio un nuovo programma di acquisizione degli armamenti per gli anni dal 2011 al 2020. Il piano, che dovrà essere approvato dal Parlamento entro marzo del prossimo anno, si prefigge di razionalizzare le acquisizioni di armamenti, anche in considerazione della riorganizzazione strutturale avviata dal ministero negli ultimi mesi. Tuttavia, il nuovo programma di riarmo dovrà far fronte ad una serie di problematiche emergenti, opposizioni interne e difficoltà finanziarie.

Contrasti interni e crisi finanziaria
Il settore militare russo sembra essere avviato verso una serie di cambiamenti di grande portata. Consapevole della necessità di una riforma e forte del sostegno presidenziale, Serdyukov sembra intenzionato a proseguire sulla strada intrapresa nel corso del 2008. Tuttavia le novità introdotte dal ministro della difesa e dal suo staff non godono del pieno sostegno dell’establishment militare, e rischiano di creare forti frizioni ai vertici delle forze armate. Il primo a lanciare un chiaro segnale al ministro è stato l’ex Capo di Stato Maggiore Yury Baluyevsky. Dimessosi nel giugno 2008 per la sua opposizione alla riforma ideata da Serdyukov, il generale Baluyevsky gode di notevole influenza e potrebbe guidare uno scisma tra gli alti ranghi dell’esercito russo.

Per frenare la portata della riforma, il Consiglio di Sicurezza russo, di cui Baluyevsky è vicesegretario, ha creato un gruppo di lavoro diretto dallo stesso generale e incaricato di elaborare una nuova dottrina militare per il 21° secolo. È prevedibile che la nuova dottrina sviluppata dal Consiglio di Sicurezza sarà in netta contrapposizione con gli assunti alla base della riforma militare, e sarà incentrata sul maggiore ruolo delle forze armate in politica estera, oltre che sull’impiego legittimo di forze nucleari come strumento strategico di dissuasione. Baluyevsky e il suo gruppo di generali punteranno probabilmente a rinviare qualsiasi tipo di riorganizzazione (e ridimensionamento) previsto dalla riforma, chiamando in causa direttamente il Presidente e il Primo Ministro. In un momento storico in cui la crisi finanziaria globale riduce sensibilmente gli spazi di manovra e programmazione del governo, Medvedev e Putin si trovano di fronte ad una difficile scelta di campo tra una modernizzazione necessaria e uno status quo di comodo.

Il massiccio piano di riarmo per il 2011 annunciato da Medvedev a marzo sembra in effetti rispondere più ad una logica propagandistica (volta a placare le crescenti proteste dei militari per i tagli al personale) che ad un realistico calcolo delle effettive risorse disponibili. La crisi finanziaria globale sta colpendo anche l’economia russa (si prevede che nel 2009 il Pil diminuirà del 5%), che risente anche della contemporanea riduzione dei prezzi degli idrocarburi. Così l’industria militare ha buon gioco nel criticare il governo per aver intrapreso un piano di riforma troppo ambizioso.

Evidentemente non è soltanto la difficile congiuntura economica a limitare il piano di ammodernamento degli arsenali russi. Vi è anche una sostanziale mancanza di know-how tecnologico e industriale. Un modo rapido per colmare tale gap potrebbe essere la diretta importazione di componenti tecnologiche, nonché di interi sistemi d’arma, dall’Occidente. Ma questo presuppone l’abbandono della retorica da Guerra Fredda e una più convinta ricerca della cooperazione con gli Stati Uniti e i loro alleati europei.

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