IAI
Unione europea

Barroso rimandato a settembre

20 Lug 2009 - Gianni Bonvicini - Gianni Bonvicini

Malgrado la resa sulla nomina del Presidente del Parlamento Europeo, fortemente sponsorizzata dal premier italiano (ma perché i capi di governo si devono impicciare anche delle candidature alla presidenza di un’Assemblea ad elezione diretta?), l’Italia non è uscita male dalla prima tornata di votazioni per le altre posizioni a Strasburgo. Due vicepresidenti eletti senza difficoltà grazie alla loro riconosciuta competenza – Roberta Angelilli per il Ppe e Giovanni Pitella per i Socialisti e Democratici – più cinque presidenze di Commissione – Affari Esteri, Affari Costituzionali, Agricoltura, Bilancio e Petizioni – costituiscono un buon risultato. I nostri europarlamentari hanno dimostrato di sapersi muovere bene all’interno del Parlamento, senza bisogno di sostegni governativi.

Il nuovo Presidente del PE
Per il resto, non è stata solo routine nella prima seduta del nuovo Parlamento. La prima novità è l’elezione dell’ex-primo ministro polacco Jerzy Busek a Presidente dell’assemblea. È un fatto di grande rilevanza politica Non solo perché Busek è di un ex-Paese comunista divenuto di recente membro dell’Ue, ma anche perché egli è noto per il suo impegno a favore dell’integrazione europea in una Polonia da cui, con i fratelli Kaczynski, era partita l’ondata euroscettica che ha poi contagiato gran parte degli altri nuovi stati dell’Est Europa. Il nuovo Presidente del PE è stato tra l’altro uno dei primi ex-capi di Stato e di governo ad aderire all’appello Diamo voce ai cittadini europei, promosso dallo IAI e altri quattro istituti europei prima delle elezioni del PE.

Il secondo elemento di interesse è nella frammentazione e debolezza della destra conservatrice, anticomunitaria e superscettica. Malgrado un buon risultato complessivo alle elezioni europee, la varietà delle motivazioni localistiche e nazionaliste ha reso fin dall’inizio difficile un approccio unitario. Ciò vale in particolare per il gruppo dei conservatori e riformisti europei nato dalla scelta avventata del leader conservatore inglese David Cameron di uscire dal Ppe per allearsi con qualche nazionalista polacco e ceco, più pochi altri contestatori provenienti da diversi paesi. Clamoroso è stato l’esito della votazione (a scrutinio segreto) sul candidato del gruppo dei conservatori e riformisti europei alla vicepresidenza del PE, il polacco Michal Kami?ski (di orientamento marcatamente “kaczynskiano”). Kami?ski è stato battuto dal più moderato, seppur conservatore, Edward Mcmillian-Scott, che è stato subito dopo espulso dal partito conservatore britannico.

Il rinvio del voto su Barroso
Ma il fatto di maggior rilievo è stata la decisione unanime, anche se con diverse motivazioni, dei gruppi parlamentari, di “rimandare a settembre” il voto su Manuel Durão Barroso, che il Consiglio europeo ha nuovamente indicato come presidente della Commissione europea. Ufficialmente il rinvio è stato giustificato dalla necessità di conoscere il programma di legislatura di Barroso. I socialisti europei hanno addirittura stilato un questionario in 11 punti cui il candidato dovrà dare esaurenti risposte: le domande riguardano argomenti come i programmi di ripresa dell’economia, le modalità per fare fronte alla disoccupazione e altri grandi temi come l’ambiente e l’energia.

Ma, al di là della dichiarata volontà di conoscere i programmi di Barroso (d’altronde, già noti da tempo), è evidente il fastidio dei parlamentari europei per la fretta con cui il Consiglio europeo ha voluto “sbrigare la pratica” Barroso, dimostrando, come minimo, una mancanza di attenzione nei confronti della nuova assemblea. Ma, a parte la questione degli umori e del rispetto dei ruoli politico-istituzionali, la nomina della nuova Commissione trova altri ostacoli di non poco conto.

Innanzitutto, la nomina del Presidente della Commissione è solo il primo tassello di un puzzle destinato a comporsi solo nei prossimi mesi. In ballo ci sono le nomine degli altri commissari, dell’Alto Rappresentante per la politica estera e, in prospettiva, del Presidente del Consiglio europeo. Già è stato lanciato per quest’ultima carica il nome dell’e-premier britannico Tony Blair, ma la lista è ben più lunga, come per coloro che ambiscono alla carica di Alto Rappresentante. Ma è meglio procedere per gradi una nomina alla volta, o adottare piuttosto il criterio di un pacchetto complessivo, che sciolga il nodo dell’equilibrio fra nazionalità e orientamenti politici in un solo colpo? È un interrogativo ancora in attesa di risposta.

L’ombra delle elezioni tedesche
A complicare ulteriormente i giochi ci sono le elezioni tedesche di fine settembre. Difficile prevedere quali saranno le scelte e le propensioni del nuovo governo tedesco nella complessa partita del rinnovo delle cariche europee. Il 2 ottobre, inoltre, si terrà il secondo referendum irlandese, dal cui esito dipenderà il destino del Trattato di Lisbona, che fra l’altro prevede che il nuovo presidente della Commissione sia eletto dalla maggioranza assoluta dei membri del Parlamento anziché solo dei votanti. Varie ragioni potrebbero quindi fare slittare ulteriormente la nomina di Barroso e non è detto che il 10 settembre, alla vigilia della nuova riunione plenaria del Parlamento europeo, la questione si prospetti in termini più chiari di quanto non lo sia oggi.

Non vi è dubbio, tuttavia, che esistano anche forti pressioni a sciogliere la questione a settembre. La Presidenza di turno svedese non vuole convivere per tutto il semestre con una Commissione in proroga e a mezzo servizio. E lo stesso Partito popolare europeo, vincitore delle elezioni, si farà nuovamente paladino della riconferma di Barroso il prima possibile. Non è detto quindi che a settembre i partiti politici non trovino un’intesa su Barroso. A renderla politicamente plausibile è anche il fatto che nel frattempo è stato rinnovato il cosiddetto “accordo tecnico” che prevede che a metà legislatura la presidenza del Parlamento europeo passi dal popolare Buzek al socialista Martin Schultz: un’anomalia per un normale Parlamento, ma anche un faustiano compromesso prodromo, probabilmente, di molti altri compromessi a livello europeo, non tutti necessariamente positivi.

Vedi anche:

G. Bonvicini: Barroso for President?

G. Avery: Il trattato di Lisbona e la nuova diplomazia europea

A. Missiroli: Il percorso a ostacoli di Barroso