Un argine Turchia-Ue contro il monopolio russo dell’energia
La Turchia è un Paese fortemente dipendente sul piano energetico. In particolare, il 65% delle sue importazioni di energia e il 30% di quelle di petrolio greggio vengono dalla Russia. Si capisce dunque perché il governo turco rivolga la massima attenzione ai rapporti con Mosca. Al contempo, il governo di Ankara sta prendendo in considerazione nuove rotte di approvvigionamento, partendo dal quadrante caspico e mediorientale. È una politica energetica che si sviluppa su più tavoli a tutela degli interessi nazionali, ma che è anche in sintonia con le esigenze di diversificazione dell’Unione Europea e con l’intenzione di Washington di contrastare il monopolio russo del mercato energetico, anche attraverso gasdotti come l’Itgi (Interconnettore Italia/Edison – Grecia – Turchia), in parte già operativo, e il Nabucco, ancora in fase di progettazione.
La Turchia nuovo hub energetico?
Nei negoziati sui molteplici progetti che stanno prendendo forma, Ankara tende sempre più a rivendicare per sé, un ruolo di hub energetico e non solo di paese di transito, puntando a commercializzare anche sul mercato interno una parte degli idrocarburi che passano sul proprio territorio. Un’aspirazione legittima, ma che sta già complicando la conclusione di alcuni accordi volti alla definizione dei prezzi del gas con i paesi produttori. Secondo le attuali proiezioni demografiche, entro il 2030 la Turchia dovrebbe raggiungere una popolazione di circa 90 milioni (attualmente è di 70 milioni), con un aumento della domanda energetica pari al 7% annuo. È imperativo quindi per il Paese, alquanto povero di risorse naturali, dotarsi di una rete di approvvigionamenti sicura ed affidabile.
Le potenziali sinergie Turchia-Europa
L’evidente rendita di posizione di Ankara sullo scacchiere geo-energetico caucasico e mediorientale non può non essere presa in attenta considerazione da parte dell’Unione Europea, che è ora più che mai attenta a dotarsi di una vera e propria politica energetica comune.
L’accorta strategia che in questi anni la Turchia ha sviluppato in ambito energetico costituisce senza dubbio un vantaggio per l’Unione Europea, che importa l’82% del petrolio che utilizza e il 57% di gas naturale (per il 44% dai giacimenti in territorio russo). Le crisi energetiche che hanno di recente colpito l’Europa, il conflitto in Georgia nell’estate del 2008 e le recenti tensioni tra Kiev e Mosca hanno posto la questione energetica in cima all’agenda politica continentale.
In questo scenario è indubbio che la Turchia, che ha attualmente lo status di osservatore nell’ambito dell’Energy Community Treaty, riveste un ruolo fondamentale per l’Unione Europea. Il bacino del Mediterraneo nel suo insieme è un’area ad alta valenza strategica. L’intero quadrante sud-orientale, fino ai confini con l’Asia Centrale, costituirà una via di crescente importanza strategica per i rifornimenti energetici dell’Italia e dell’intero continente europeo.
L’argine turco al monopolio di Mosca
La Turchia può fare da argine alla forza centripeta russa, contrastandone l’ambizione di esercitare un monopolio sulle risorse energetiche e sulle vie di trasporto. Nel settore energetico Ankara e Mosca si trovano al tempo stesso ad essere partner (nel progetto Blue Stream) e rivali (Nabucco per Ankara, South Stream per Mosca). Essendo unite dal rapporto produttore-cliente hanno forti interessi comuni, ma l’attivo sostegno della Turchia a vari progetti di diversificazione delle fonti le mette in contrasto.
Rilevante sono le iniziative intraprese dalla Turchia nei confronti di Teheran, che si sono concretizzate in due intese relative al trasporto di gas iraniano (ed eventualmente turkmeno) in Europa. Un accordo sul quale Washington ha subito espresso un fermo disaccordo, sottolineando l’opportunità da parte della Turchia di utilizzare le rotte del Caspio, piuttosto che il territorio dell’Iran, per il trasporto in Europa del gas turkmeno.
Una concreta diversificazione dell’approvvigionamento energetico dell’Europa e un’erosione, seppur parziale, del monopolio russo, saranno possibili solo a condizione che adeguate quantità di gas naturale e greggio possano riempire le condotte dell’ampia gamma dei progetti infrastrutturali, di cui alcuni solo sulla carta. Una condizione che al momento non sembra del tutto soddisfatta.
Alla ricerca di vie alternative per l’Europa
Le risorse al momento a disposizione dell’Azerbaigian, paese fornitore naturale per alcune iniziative “europee”, non sarebbero al momento neppure sufficienti a soddisfare contemporaneamente le esigenze di “start up” dei gasdotti Nabucco e Itgi. L’Iraq, pur galleggiando su enormi quantità di oro nero, sarà nelle condizioni di inserirsi sul mercato mondiale solamente nel lungo periodo, una volta effettuati gli ingenti investimenti per l’aumento della capacità produttiva e di raffinazione del greggio e per la costruzione di nuove infrastrutture per il trasporto del petrolio e del gas naturale. Per non parlare dell’Iran, dove a motivazioni tecniche (difficoltà di estrazione nei campi nella parte meridionale del Paese), si aggiungono le ben note problematiche di natura politica.
Rimangono infine i cinque “Stan” (Kazakhstan, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan), che, seppur in possesso di ingenti risorse (si stima che i soli Kazakhstan e Turkmenistan possiedano riserve di gas e petrolio comparabili a quelle del Medioriente) mantengono per evidenti ragioni storico-politiche legami assai forti con la Russia, sempre più disposta ad acquistare i loro prodotti energetici anche a prezzi superiori al passato.
Dall’Europa alla Cina, dagli Usa all’Iran, sono in molti a progettare pipelines che taglino fuori la Russia. Che nel frattempo, però, agisce con risolutezza; come nel maggio del 2007, allorché Putin ha firmato un’intesa con i due presidenti kazako e turkmeno per mantenere in mani russe il semi-monopolio dei loro idrocarburi. Da non sottovalutare infine la politica multivettoriale che i paesi dell’Asia Centrale stanno ormai portando avanti in modo risoluto; basti pensare al tentativo del Kazakhstan di aprire un canale verso l’Estremo Oriente attraverso un gasdotto che colleghi i suoi giacimenti con la Cina.
Un ruolo di punta per l’Ue
In una fase storica in cui la dimensione energetica viene considerata necessariamente parte integrante e prioritaria delle relazioni internazionali, è quanto mai opportuno che l’Unione Europea attui una politica energetica coerente e di lungo periodo in un quadrante geopolitico strategico in cui la Turchia ha sempre costituito un tassello fondamentale. Particolare attenzione dovrà essere dedicata al quadro normativo più appropriato per stimolare quegli investimenti nella filiera energetica che sono indispensabili soprattutto nei settori della prospezione, dello sfruttamento e del trasporto di materie prime. I negoziati sull’ingresso di Ankara in Europa e la definizione della strategia futura dell’Ue nei suoi confronti dovranno necessariamente tener conto anche del ruolo che la Turchia può rivestire per la sicurezza energetica del continente.