La stella polare dell’opzione zero
È davvero realizzabile un mondo senza armi nucleari? L’opzione zero riproposta da Barack Obama si potrebbe definire, in linguaggio kantiano, un’”idea regolativa”: indica un obiettivo che si sa in partenza molto difficile da raggiungere, ma che è non solo moralmente doveroso, ma anche praticamente utile perseguire. I passi intermedi che dobbiamo compiere per arrivarci – nella fattispecie le misure parziali di disarmo – sono importanti di per sé. Ma è proprio grazie al fatto che non perdiamo di vista il traguardo finale, ancorché lontano, che troviamo l’energia e la determinazione per realizzarli. L’abolizione totale delle armi nucleari assume così i connotati di un ideale pragmatico che può rafforzare la volontà e servire da orientamento per l’azione.
La vetta oltre le nuvole
Per chiarire il punto, le quattro eminenti personalità americane che in due ormai famosi articoli su The Wall Street Journal hanno rilanciato l’opzione zero – gli ex-segretari di Stato George Shultz e Henry Kissinger, l’ex-segretario alla difesa William Perry e l’ex-senatore Sam Nunn – hanno usato una metafora che ha una sua efficacia: l’obiettivo di un mondo senza armi nucleari è come la vetta di una montagna molto alta che s’intravede a malapena e solo a tratti perché coperta da nuvole. Rimanendo a valle, è difficile farsene un’idea precisa. E ogni tentativo di scalata rischia di fallire di fronte a ostacoli insormontabili. Ma non lo potremo mai sapere se non cominciamo l’ascesa. La speranza è che, una tappa dopo l’altra, la cima diventi sempre più visibile.
Fuor di metafora, è obiettivamente difficile oggi elaborare un piano preciso per la distruzione completa degli arsenali nucleari e definire nei dettagli il sistema che dovrebbe garantire le necessarie verifiche. Ma, se si chiarisce l’obiettivo ultimo a cui si tende, può risultare più agevole fare progressi nella direzione voluta.
Quello che occorre cambiare è il calcolo di medio o lungo periodo in base al quale i singoli Stati definiscono le loro strategie nazionali di sicurezza. Finché prevarrà la percezione che le armi nucleari sono destinate a una progressiva diffusione, almeno una parte dei paesi di soglia – quelli che non sono lontani dall’acquisire la capacità di dotarsi di un arsenale atomico – continueranno ad avere interesse a non privarsi, una volta per tutte, dell’opzione nucleare. Ciò vale naturalmente soprattutto per i paesi che si sentono minacciati, o che si trovano in contesti regionali a forte conflittualità.
L’illusione della deterrenza nucleare
Alla base del tentativo di rilancio delle politiche di non proliferazione e del disarmo nucleare c’è infatti la convinzione che il sistema di reciproca dissuasione nucleare che ha garantito la stabilità strategica durante la Guerra Fredda sia difficilmente riproducibile. La competizione tra Usa e Urss aveva infatti connotati del tutto particolari, che non si ritrovano in altre situazioni, fra cui l’assenza di dispute territoriali dirette (altra cosa erano le cosiddette guerre su procura). Al contrario, nelle regioni dove oggi si avverte più acutamente il rischio della proliferazione nucleare, come il Medioriente o l’Asia del Pacifico, contese territoriali o di confine sono all’ordine del giorno.
Uno Stato che si dota di armi nucleari può anche decidere di usarle come strumento di deterrenza, cioè per evitare la guerra, ma come dare per scontato che lo facciano Stati invischiati in storiche e irrisolte rivalità bilaterali o regionali? Nell’incertezza, meglio affidarsi a un calcolo più realistico: più aumentano le armi nucleari in giro per il mondo, più cresce la probabilità che siano usate o che finiscano nella mani sbagliate. E che si verifichi un confronto nucleare. Anche a voler tacere del possibile uso degli arsenali nucleari a scopo di intimidazione, che è peraltro un rischio nient’affatto trascurabile.
Anche i precedenti storici, a ben guardare, non sono così sfavorevoli. La previsione fatta da John Kennedy negli anni sessanta del secolo scorso che in un tempo relativamente breve altri venti paesi si sarebbero dotati dell’arma atomica non si è avverata. E ciò anche grazie al fatto che alcuni, come il Sudafrica, hanno interrotto programmi già in corso e altri, come il Brasile e l’Argentina, hanno rinunciato ad avviarli. Più di recente, è stata la Libia ad annunciare la rinuncia alle armi di distruzione di massa.
Niente di nuovo?
Si obietterà che l’idea di un mondo senza armi nucleari è tutt’altro che una novità. È stata retoricamente riaffermata da tutti i presidenti americani da Eisenhower in poi. Fu fra l’altro al centro dello storico vertice di Reykjavik del 1988 tra Ronald Reagan e Mikhail Gorbachev. E, venendo ai giorni nostri, non è certo un’esclusiva di Obama: anche il candidato repubblicano John McCain l’ha fatta propria.
Nihil novi sub sole, dunque? Non proprio: con Obama la proposta di un progressivo disarmo nucleare è diventata una componente centrale della strategia contro la proliferazione e quindi della stessa strategia di sicurezza nazionale. Siamo in presenza di un rovesciamento della posizione della precedente amministrazione, che era fortemente refrattaria, per non dire allergica, a ogni idea di nuovi accordi di disarmo basati su un sistema di verifiche reciproche e respingeva di fatto il nesso tra non proliferazione e disarmo. E, quel che più conta, il nuovo presidente ha preso una serie di impegni concreti che se fossero attuati – il che dipende beninteso anche dalla risposta degli altri attori internazionali – potrebbero far ripartire il processo di disarmo.
Un passo alla volta
Naturalmente quando si passa alle misure pratiche da adottare le cose si complicano. L’ordine di priorità, in particolare, non è scontato. Il parametro generale di riferimento rimane lo scambio politico – non-proliferazione contro disarmo – su cui si fonda il Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp). E oggi, più di ieri, Usa e Russia, che rimangono di gran lunga le due maggiori potenze nucleari, sono nella condizione di stipulare nuovi accordi di disarmo senza mettere a rischio la sicurezza nazionale o gli equilibri strategici. L’intesa Obama-Medvedev su questo punto promette bene anche perché, date le dimensioni sproporzionate degli arsenali dei due paesi, appare realistica.
Anche su altri punti dell’agenda di Obama – come l’entrata in vigore del trattato che vieta i test nucleari (Ctbt) e l’avvio dei negoziati per il bando della produzione di materiale fissile a scopi militari – c’è una larga convergenza in Occidente, ma non sarà facile arrivare a un consenso globale (e resta da vedere se il presidente americano riuscirà a convincere il Congresso). Particolarmente difficili si presentano poi i negoziati – ammesso che ci si arrivi – per il rafforzamento dei meccanismi di controllo del Tnp.
Uno scoglio da non sottovalutare è poi rappresentato dal progetto americano per la difesa antimissile. Anche fra quanti sostengono l’opzione zero le vedute su questo punto non coincidono. Se, ad esempio, gli autori dei due articoli su The Wall Street Journal auspicano che Usa, Russia e gli Stati europei cooperino allo sviluppo di un comune sistema di difesa antimissile – come avevano ipotizzato George Bush e Vladimir Putin durante il vertice di Mosca del 2002 – altri ritengono che si dovrebbe invece puntare a ripristinare il trattato Abm che limita le difese contro i missili balistici e che è stato denunciato da Bush nel 2002. È questa la tesi che hanno sostenuto quattro eminenti personalità politiche tedesche – Egon Bahr, Hans-Dietrich Genscher, Helmut Schmidt e Richard von Weizsaecker – in un articolo apparso su The International Herald Tribune nel gennaio scorso, in cui peraltro esprimevano pieno sostegno all’opzione zero. Anche un’altra loro proposta, che i paesi dotati di armi nucleari sottoscrivano l’impegno a non usarle per prime (no first use) è improbabile che venga accolta a Washington e a Mosca.
Non solo quindi la strada è irta di ostacoli, ma anche fra i paesi occidentali non è facile né scontato che si trovi sempre una linea comune. D’altronde, già durante la Guerra Fredda la strategia nucleare e le questioni del disarmo furono spesso un pomo della discordia tra americani e europei. Ma la svolta di Obama ha già creato un clima politico nuovo che dovrebbe facilitare il dialogo e i negoziati ai vari livelli. La scelta del presidente americano di rilanciare l’opzione zero, associandovi una serie di proposte concrete, su cui sa che verrà misurata la sua credibilità, è sicuramente un contributo importante alla sicurezza internazionale.