La strana coppia Nato-Ue
Il ritorno della Francia nei comandi militari della Nato potrebbe aprire una fase nuova e più dinamica nella tormentata storia delle relazioni tra l’Alleanza atlantica e l’Unione europea. Notoriamente Nato e Ue si parlano poco, benché gli stati che le compongono siano in larga parte gli stessi. Anche fra gli stati europei che sono membri sia dell’Alleanza atlantica che dell’Ue non c’è infatti accordo: alcuni vorrebbero che le questioni di difesa e sicurezza fossero soprattutto ‘roba Nato’, altri ritengono che l’Ue non possa fare a meno di dotarsi di uno strumento militare autonomo.
Un nuovo clima politico
Il risultato è che l’Unione europea ha sì cominciato a sviluppare una sua dimensione autonoma di difesa e sicurezza – la Pesd – ma tra mille ambiguità. Alcuni paesi, Gran Bretagna in testa, tendono a considerare la Pesd come uno strumento complementare, ma comunque subalterno alla Nato. Altri, in primo luogo la Francia, hanno guardato alla Pesd come ad un primo passo dell’Unione europea verso l’affrancamento dalla tutela americana.
Washington , dal canto suo, ha avuto – e in parte ha – più di un problema a capire come mai gli europei vogliano armare l’Ue. Non c’è solo, da parte americana, il malcelato sospetto che si punti a marginalizzare la Nato: pesa anche una forte perplessità circa l’effettiva capacità degli europei (britannici e francesi esclusi) di combinare qualcosa sul piano militare.
In che modo il pieno reintegro francese nella Nato potrebbe cambiare la situazione? Esso è un’eloquente testimonianza del fatto che il decoupling militare dell’Europa dagli Usa non è considerato un obiettivo realistico, e forse neanche desiderabile, nemmeno dal paese europeo che in passato si è maggiormente distinto per l’ambizione a creare una difesa europea indipendente.
D’altro canto, la mossa di Sarkozy è parte di una strategia più ampia, tesa a creare un maggiore equilibrio tra la componente atlantica e quella europea. Sottolineando in modo per certi versi clamoroso le credenziali atlantiche della Francia (l’auto-esclusione dal comando militare Nato è stata per decenni un caposaldo della politica internazionale di Parigi), Sarkozy punta ad ottenere il pieno e aperto sostegno degli Stati Uniti ad un ulteriore sviluppo della Pesd.
A Washington, soprattutto in questi tempi di crisi e con la nuova amministrazione decisa a ravvivare lo spirito di solidarietà transatlantica, la Pesd sembra fare decisamente meno paura. Una ragione è che, favorendo l’ottimizzazione delle risorse e capacità militari europee, essa tende sempre più ad essere vista anche oltreoceano come l’unica alternativa praticabile all’improbabile aumento dei bilanci della difesa dei paesi europei.
Dopo anni di contrasti dunque, sia negli Stati Uniti sia in Europa ci si è cominciati a chiedere con insistenza a chi giovi la concorrenza tra Nato ed Ue, e se non sia il caso di liberare il campo almeno dagli ostacoli meno impervi. Ad una fase caratterizzata da diffidenze e incomprensioni sembra esserne subentrata una improntata a un maggior pragmatismo: più che in passato si guarda oggi alle relazioni Nato-Ue in termini di opportunità strategica anziché di concorrenza reciproca.
Il mutato quadro politico rappresenta senz’altro una novità di grande importanza. È bene ricordare tuttavia che il miglioramento della cooperazione tra Nato ed Ue non è certo un tema nuovo e che, nonostante gli apparenti buoni propositi di cui sopra, non sono state avanzate proposte concrete per superare i molti ostacoli che intralciano i rapporti tra le due organizzazioni.
Molti nodi da sciogliere
Molti sono infatti i nodi da sciogliere: la divisione dei compiti e delle responsabilità tra Nato e Pesd; la definizione dell’agenda di cooperazione; il coordinamento istituzionale; la competizione per le capacità militari; la collaborazione operativa sul campo. Vediamoli brevemente uno per uno.
È improbabile che si arrivi a definire una rigida divisione del lavoro tra Nato e Pesd sul piano geografico o su quello funzionale. Il teatro europeo continuerà ad essere centrale per la Nato. Anche se l’Ue non ha competenze in materia di difesa collettiva – il core business dell’Alleanza atlantica – essa è portata a considerare l’Europa e il vicinato una sua area ‘naturale’ di intervento. Inoltre, sia l’Ue sia la Nato hanno aspirazioni globali (per la Nato, è noto, già negli anni ’90 si faceva un gran parlare dell’alternativa tra out of area e out of business).
D’altro canto, l’indiscutibile superiorità della Nato in termini di capacità militari indurrebbe a pensare che l’Alleanza andrebbe privilegiata per le operazioni militarmente più impegnative, che implichino anche attività di combattimento ad alta intensità, mentre l’Ue, anche in ragione dei suoi assets civili, sarebbe adatta a compiti più soft di stabilizzazione e ricostruzione. Questa soluzione sembrerebbe non solo aderente ai reali rapporti di forza, ma avrebbe anche il vantaggio di concentrare l’attenzione sulle possibili sinergie funzionali tra Nato e Pesd. Politicamente, tuttavia, non è così facile da far digerire ad alcuni europei, in particolare ai francesi, per i quali una divisione del lavoro in base alla capacità formalizzerebbe la subalternità militare della Pesd alla Nato.
Ciò detto, la differenza in termini di capacità continuerà ad essere uno dei fattori determinanti nella scelta se operare attraverso la Nato o la Pesd. Egualmente importante sarà anche la capacità degli alleati di articolare i loro interessi. Gli Usa tenderanno a privilegiare la Nato se hanno un interesse a mantenere il controllo dell’operazione, ma potrebbero riconoscere un ruolo di primo piano all’Ue laddove quest’ultima fosse in grado di presentare il suo coinvolgimento come un valore aggiunto. È quel che è accaduto per le missioni nei Balcani.
Quando non vi è immediata convergenza di interessi, tuttavia, Nato e Ue hanno difficoltà a definire una comune agenda di cooperazione. In parte ciò dipende dalla mancanza di adeguati meccanismi di raccordo istituzionale. Quelli attuali, per quanto strutturati sulla carta, nella pratica sono spesso ostaggio di veti incrociati. Il caso più clamoroso è il veto della Turchia sulla partecipazione di Cipro agli incontri Nato-Ue. La stessa Francia ha a lungo impedito che l’agenda comprendesse altri argomenti al di là delle missioni comuni nei Balcani. Il risultato è che, anche quando si parlano, Nato e Ue sono raramente in grado di decidere qualcosa. Lo stesso scambio di informazioni confidenziali – un passo obbligato per creare reali sinergie – è continuamente ostacolato dalla disputa turco-cipriota, ma anche da impedimenti burocratici.
Un altro problema è che per i paesi europei è sempre più difficile conciliare gli impegni presi in sede Nato e in sede Ue, col risultato che spesso le due organizzazioni sono in concorrenza per lo stesso personale specializzato ed equipaggiamento militare. Fintanto che gli europei non aumenteranno le spese per la difesa – un’eventualità che sembra remota – o non riusciranno ad ottimizzare le risorse che hanno a disposizione, il problema è destinato a permanere.
Il quadro della cooperazione operativa è più incoraggiante. Interpretando in modo flessibile gli accordi Berlin Plus – che consentono all’Ue di accedere alle capacità di pianificazione e conduzione della Nato – le due organizzazioni sono riuscite a sopperire sul campo ai malfunzionamenti istituzionali. Anche in questo caso non mancano però i problemi: in particolare l’incapacità di dispiegare tempestivamente le missioni – dovuta al fatto che Nato ed Ue devono prima accordarsi su una numerosa serie di questioni sia strategiche sia operative – di fatto riduce l’opzione Berlin Plus a missioni di sostituzione di preesistenti operazioni Nato.
I compromessi possibili
Il ‘disgelo’ promosso da Sarkozy è dunque destinato a non avere conseguenze? Non proprio. Certamente non esistono oggi le condizioni per porre termine alla più o meno aperta competizione tra la Nato e l’Ue. Esistono però margini di cooperazione inesplorata, soprattutto a livello di dialogo politico. Bisognerà però convincere la Turchia a cambiare posizione.
Forse una Francia più disponibile a cooperare con gli Usa e gli altri alleati potrebbe esercitare sufficiente pressione in questo senso. Se l’intoppo istituzionale venisse superato, si potrebbero conseguire attraverso soluzioni di compromesso alcuni non trascurabili obiettivi di medio periodo: sveltire le procedure di attivazione degli accordi Berlin Plus; creare meccanismi automatici di raccordo istituzionale nel caso di una doppia presenza – Ue e Nato – in una data area; e ridurre, sulla base di una valutazione realistica delle risorse disponibili, la competizione per personale specializzato e dotazioni militari.
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