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Libia

Il nuovo corso economico di Gheddafi

5 Mar 2009 - Stefano Casertano - Stefano Casertano

Il leader libico Muammar Gheddafi ha recentemente proposto ai 468 “Congressi popolari di base” del paese un documento con otto diverse ipotesi di riforma del sistema di distribuzione delle rendite petrolifere nazionali. I “congressi popolari” sono una sorta di “soviet” in versione libica, che forniscono pareri al “Congresso generale”, paragonabile a un parlamento nazionale. Finora, l’economia pianificata libica prevedeva che le rendite petrolifere fossero gestite centralmente, con lo Stato responsabile di tutte le scelte d’investimento e spesa pubblica. Nel documento spedito ai congressi, si propone di inoltrare le entrate petrolifere direttamente al “popolo”, tramite trasferimenti mensili.

Alcune delle ipotesi proposte limiterebbero il sistema dei trasferimenti solo agli strati più poveri della popolazione. Alcune delle spese tradizionalmente coperte dallo Stato verrebbero invece addebitate direttamente ai cittadini: a seconda delle soluzioni contemplate nel documento, si può trattare di scuola, sanità, previdenza e altro ancora.

Un progetto a vasto raggio
Questa mossa del dittatore libico si inquadra in un più ampio progetto di ristrutturazione del sistema economico/petrolifero del Paese, iniziato nel 2005, dopo la rimozione dei divieti di operatività per le compagnie petrolifere americane. È stato introdotto uno standard contrattuale per l’industria estrattiva (denominato “Epsa IV”) che impone nuovi obblighi fiscali per gli operatori internazionali, e dei “bonus alla firma” per Tripoli, che in alcuni casi sono arrivati al miliardo di euro.

Inoltre, i consorzi tra aziende petrolifere internazionali e la compagnia di Stato libica sono stati rivisti, in modo che la quota estera resti al di sotto del 50%. Per mantenere la sua presenza in un’area petrolifera denominata “Mabruk”, Total ha ridotto la sua quota dal 56% al 37,5%, e ha versato alla Libia 500 milioni di dollari di bonus.

Si tratta di operazioni in linea con i parametri di mercato: gli alti prezzi del petrolio registrati l’anno scorso hanno convinto molti stati produttori che i contratti petroliferi andassero rivisti, e i recenti ribassi stanno modificando tale attitudine solo con molta lentezza.

Più mercato e meno paternalismo?
La distribuzione dei ricavi è l’altro estremo del filo energetico che unisce l’economia libica. Nel documento inviato ai “Congressi popolari” c’è chi individua i prodromi di un passaggio all’economia di mercato. Alla gente sarebbe data la facoltà di decidere in maniera indipendente dove e come spendere i soldi ricevuti dallo Stato. Si stimolerebbe così la crescita di un mercato privato.

La scelta di abbandonare certe forme di economia statalista sarebbe dovuta a Saif, figlio di Gheddafi, tra i maggiori sostenitori di un rinnovamento del paese. Peraltro, più che una scelta quella del mercato sembra una strada obbligata: lo scorso 1° marzo il quotidiano libico Oea, controllato dallo stesso Saif ha ammesso, rompendo il tabù sui dati sulla disoccupazione, che il 20,7% dei libici è senza lavoro. Si pensava fossero solo il 10%.

Quella di iniziare la riforma dalla distribuzione degli introiti petroliferi non è una scelta da poco. Le rendite petrolifere libiche costituiscono il 95% dell’export nazionale, il 75% delle entrate pubbliche, e la metà del prodotto interno lordo. Non è ancora chiaro quale quota verrebbe destinata alla distribuzione diretta, ma probabilmente sarà una parte significativa, visto il tipo di servizi che si vorrebbe far pagare direttamente ai cittadini.

I rischi di una riforma a metà
Il sistema dei trasferimenti diretti è tra i più rischiosi che si possano adottare per passare a un’“economia di mercato”. Il problema è ben descritto dalla favola del re che distribuisce metà del suo tesoro al popolo per farlo contento, ma poi scopre che, così facendo, aveva solo provocato inflazione, e che tutti si ritrovavano poveri come prima.

Inoltre, l’esperienza dimostra che molti cittadini non hanno un “profilo di spesa” che miri a ritorni economici di lungo periodo. Invariabilmente i beneficiari vengono “viziati” dai trasferimenti, spendono tutto e subito, e perdono l’abitudine al lavoro. Ci sono eccezioni significative, come l’Alaska, dove però la società è tenuta insieme da una forte etica capitalistica preesistente alla scoperta delle risorse minerarie.

Le economie petrolifere sono molto delicate. Senza una vera riforma di mercato il sostegno ai redditi attraverso i trasferimenti monetari rischia solo di congestionare un’economia le cui potenzialità di crescita rimangono bloccate dal sistema di comando statale.

In un recente articolo il Corriere della Sera ha rilevato che in Libia c’è “scontento per la corruzione dell’élite al potere e per il crescente […] divario tra classi sociali”. Forse il Colonnello sta cercando nuove basi di consenso, e pensa che le rendite petrolifere possano servire allo scopo. Un’“autocrazia paternalistica” come quella di Gheddafi si regge sulla capacità di soddisfare gli interessi di vari gruppi sociali, in maniera simile (ma meno violenta) a ciò che ha fatto Suharto per oltre trent’anni in Indonesia.

Il 3 marzo sono giunti i risultati delle consultazioni dei Congressi. Su 468, 64 hanno accettato le proposte tout-court e 251 le hanno approvate con qualche riserva, da discutere nei prossimi mesi. 153 Congressi si sono opposti alla riforma. Gheddafi ha dichiarato che lavorerà per far accettare la proposta da tutti, ma si prevedono comunque mesi d’intenso dibattito.

Molti progetti populistici basati sul petrolio non hanno portato i risultati attesi: tra i più recenti la “nazionalizzazione del gas boliviano” promossa da Evo Morales. Nei prossimi mesi, si vedrà se il piano di Gheddafi è mera “politica del consenso”, o un vero piano di sviluppo. Il dittatore libico incontrerà probabilmente crescenti difficoltà a ottenere dalle aziende petrolifere le condizioni che aveva negoziato con il petrolio alle stelle, ma non potrà che continuare a far leva sui proventi petroliferi per cercare di perpetuare il potere, quasi assoluto, di cui gode in patria.