Luci e ombre del Trattato tra Italia e Libia
Il 3 febbraio il Senato ha definitivamente approvato il disegno di legge di autorizzazione alla ratifica del Trattato tra Italia e Libia di “Amicizia, partenariato e cooperazione” firmato a Bengasi il 30 agosto 2008 da Berlusconi e Gheddafi. Il Trattato, a lungo tenuto nel cassetto, aveva scatenato la fantasia dei commentatori. Qualcuno aveva ipotizzato che vi fossero clausole segrete; altri che esso contenesse un patto di non aggressione, incompatibile con la nostra partecipazione alla Nato. Niente di tutto questo. La verità è più prosaica. Il Trattato comporta oneri non indifferenti per l’Italia e si è preferito reperire la copertura finanziaria, prima di renderlo pubblico. Ora che l’iter parlamentare è stato concluso, il Presidente della Repubblica può procedere alla ratifica.
Le clausole dell’accordo di Bengasi erano già contenute in nuce nel Comunicato congiunto del 4 luglio 1998 firmato da parte italiana dall’allora ministro degli Affari esteri Dini, premessa per un accordo di più ampio respiro politico. Le alterne vicende dei rapporti italo-libici ne hanno impedito la conclusione, nonostante gli sforzi perseguiti nel decennio successivo anche dai governi di centro-sinistra. Sul Trattato di Bengasi è stata pertanto raggiunta un’intesa bipartisan, benché non sia mancata una forte opposizione dei radicali e di altre forze politiche, che hanno criticato la mancanza di democrazia in Libia.
La lunga ricerca dell’accordo
I rapporti con la Libia non sono mai stati facili, sia per il retaggio coloniale sia per la quarantena imposta ai libici dagli occidentali. Dopo l’avvento al potere di Gheddafi, gli italiani furono cacciati e le loro proprietà confiscate. Tuttavia i rapporti commerciali continuarono grazie all’Eni, la cui presenza non si è mai interrotta, neppure quando la Libia è stata oggetto di sanzioni internazionali. Senza dimenticare gli investimenti libici nella Fiat.
I rapporti italo-libici raggiunsero il punto più basso nel 1986, quando fu tirato un missile che lambì Lampedusa, come rappresaglia per il bombardamento americano di Tripoli e Bengasi. Gli aerei non sorvolarono l’Italia né partirono da basi italiane, ma secondo Gheddafi essi si erano serviti della stazione di trasmissione Usa sita nell’isola. Scontri con gli Usa si erano verificati anche negli anni precedenti, a causa del transito e delle esercitazioni della VI Flotta americana nel Golfo della Sirte, che la Libia rivendica (erroneamente) come acque nazionali. La Libia fu accusata di appoggiare il terrorismo internazionale e agenti libici sospettati di aver provocato i disastri aerei di Lockerbie (1988) e del Niger, in cui furono coinvolti i velivoli della Pan Am (Usa) e dell’Uta (Francia). Isolata internazionalmente, la Libia fu costretta a consegnare i presunti terroristi ad una Corte scozzese, giudicante in Olanda, e a pagare un cospicuo risarcimento. Le sanzioni che aveva imposto il Consiglio di sicurezza nel 1992 furono revocate solo nel 2003, dopo che la Libia aveva rinunciato a fomentare il terrorismo internazionale. Anche l’Ue aveva decretato un embargo. Gli Stati Uniti hanno riallacciato le relazioni diplomatiche con la Libia solo nel 2005.
La normalizzazione dei rapporti italo-libici è stata preceduta, prima della conclusione del Trattato di Bengasi, da numerosi accordi bilaterali, che tuttavia lasciavano irrisolte molte questioni: dalle pretese libiche alla riparazione dei danni del colonialismo ai crediti delle imprese italiane per opere mai pagate. Per non parlare del delicato capitolo del contrasto all’immigrazione clandestina, disciplinato da due Protocolli del 29 dicembre 2007, rimasti inattuati. Mancava però un accordo quadro di riferimento.
Le ambizioni del nuovo Trattato
Il Trattato del 2008 è un documento ambizioso, dove si sottolinea il rapporto “speciale e privilegiato”, che i due paesi intendono sviluppare, senza dimenticare il ruolo che essi perseguono, rispettivamente, nell’Ue e nell’Unione africana. Il Trattato consta di tre parti: principi; chiusura del passato e dei contenziosi; partenariato. Durante la discussione parlamentare si è posto l’accento, relativamente alla prima parte, sui diritti dell’uomo e sulla compatibilità tra Nato e Trattato di Bengasi.
Il riferimento alla Carta delle Nazioni Unite ed alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dovrebbe consentire all’Italia di chiederne il rispetto. Tra l’altro la Libia è parte dei principali trattati internazionali in materia di diritti umani, ad eccezione della Convenzione sui rifugiati del 1951 (ma è parte della Convenzione africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, che contiene norme sul trattamento degli stranieri).
Quanto alla Nato, che ovviamente non è espressamente menzionata nell’accordo, si prevede che ciascuno dei due contraenti non consenta la commissione di atti ostili contro l’altro, a partire dal proprio territorio. La clausola ha per oggetto la commissione di atti che comportano la minaccia o l’uso della forza in contrasto con il diritto internazionale. Quindi una dimostrazione di protesta contro la Libia non è un “atto ostile”. Ma problemi possono sorgere, qualora, ad esempio, da basi navali in Italia la flotta Usa navighi nel Golfo della Sirte per rivendicare i diritti di libertà dell’alto mare.
La parte più onerosa del Trattato è la seconda, a chiusura del passato. L’Italia si impegna alla realizzazione di progetti infrastrutturali di base per 5 miliardi di dollari: un esborso annuale di 250 milioni di dollari per 20 anni, da reperire mediante un’addizionale dell’Ires a carico delle imprese operanti nel settore degli idrocarburi. La previsione del gettito non può essere matematica e dipende dalle condizioni di mercato, senza contare il pericolo di nazionalizzazione delle fonti energetiche già ventilata dalla Libia, a causa della caduta del prezzo del petrolio. L’esecuzione dei lavori verrà affidata ad imprese italiane, con fondi direttamente gestiti dall’Italia. Meno onerose, ma pur sempre a carico dell’Italia, sono talune “iniziative speciali”, come l’assegnazione di borse di studio o un programma di riabilitazione per lo scoppio di mine.
L’interesse dell’Italia
Quali i vantaggi per l’Italia? C’è un impegno a raggiungere un accordo, nell’ambito di un comitato misto, per il pagamento dei crediti vantati da aziende italiane. La cifra, generalmente quantificata in 620 milioni di euro, è lasciata indeterminata, come indeterminati restano i tempi della restituzione. Poiché i nostri imprenditori hanno accumulato debiti di natura fiscale, c’è il rischio di una compensazione poco vantaggiosa. È stata addirittura ventilata l’ipotesi di prelevare dalle rate dovute per le opere infrastrutturali quanto dovuto agli imprenditori italiani, qualora la Libia non paghi. Ma questo significherebbe la fine del Trattato.
Il Trattato dimentica gli indennizzi dovuti agli italiani cacciati dalla Libia, cui l’Italia sembra sostanzialmente aver rinunciato. Per far fronte a questa ingiustizia, la legge di autorizzazione ed esecuzione, con procedura inusuale, ha previsto a carico dell’Italia un indennizzo ulteriore a quello già accordato in passato.
La parte più ambiziosa del Trattato è quella relativa al partenariato, prevalentemente programmatica e senza stanziamento di risorse, tranne che per il contrasto all’immigrazione. La cooperazione investe molteplici settori: economico-industriale, energetico, difesa, non proliferazione e disarmo. Addirittura si ventila l’idea di fare del Mediterraneo una zona libera da armi di distruzione di massa. Le disposizioni di più immediata attuazione sono quelle relative al pattugliamento marittimo congiunto con motovedette messe a disposizione dall’Italia, ormai in via di attuazione, e al telerilevamento alle frontiere terrestri con apparecchiature per metà finanziate dall’Italia e per metà dall’Ue (ma non è concretizzato l’impegno di spesa). Questa parte del Trattato è quella che ha destato le più forti perplessità, sotto il profilo dei diritti umani, per la sorte degli immigrati respinti e lasciati in balia del deserto. La Libia non è parte della Convenzione del 1951 sui rifugiati, ma ha ratificato strumenti regionali e universali che tutelano i diritti umani Inoltre, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che non è giuridicamente vincolante, ma che la Libia s’impegna a rispettare, contiene disposizioni incisive, incluso il diritto di asilo. Il problema è sempre il solito: non basta ratificare i trattati, occorre rispettarli!
È facile prevedere che l’attuazione del Trattato sarà irta di ostacoli e le ombre non mancano. Nel complesso, però, il Trattato non va giudicato negativamente. Il suo successo, come qualsiasi trattato, dipende dalla volontà delle parti e dall’evoluzione che subirà il regime libico. I trattati sono fatti per durare e quello tra Italia e Libia offre la cornice per un reale partenariato.