I nodi della cooperazione tra Washington e Berlino
Con Barack Obama alla Casa Bianca le relazioni tra gli Stati Uniti e la Germania sono probabilmente destinate a migliorare. La disponibilitá a cooperare non sembra far difetto né a Washington né a Berlino. Ma non sará sufficiente. Le elite di governo dell’uno e dell’altro paese dovranno dimostrarsi capaci di conciliare interessi nazionali non sempre combacianti. E alcuni nodi dovranno essere sciolti.
La minaccia del protezionismo
Un nodo particolarmente delicato per i tedeschi è la politica commerciale dell’amministrazione Obama. Berlino ha accolto con grande sollievo l’attenuazione degli accenti più marcatamente protezionistici contenuti nel piano di rilancio dell’economia Usa approvato di recente dal Congresso. Origine delle preoccupazioni tedesche – di cui lo stesso cancelliere Angela Merkel s’era fatta interprete in una conversazione privata con Obama – erano i provvedimenti del c.d. Buy American Act che avrebbero impedito di acquistare dall’estero gran parte dei materiali necessari alle grandi opere infrastrutturali previste dal piano Obama.
Ad allarmare la Germania, che è il primo esportatore al mondo in termini assoluti, era l’eventualità non solo di perdere parte del mercato americano (nel 2008 le imprese tedesche vi hanno esportato per $70 miliardi), ma anche che il piano americano inducesse per reazione altri governi a ricorrere a misure protezionistiche. Sotto pressione internazionale, il Congresso ha alla fine modificato il provvedimento in modo che fosse in linea con i trattati commerciali internazionali. Il segretario del tesoro Usa, Timothy Geithner, ha successivamente fornito ulteriori garanzie verbali contro pratiche protezionistiche da parte Usa intervenendo al meeting del G7 di Roma della scorsa settimana. Le preoccupazioni della Germania, tuttavia, non sembrano essere del tutto sparite, se è vero che Berlino avrebbe preferito che il comunicato finale del G7 contenesse un più deciso impegno a favore del libero commercio.
L’Afghanistan e la Nato
Un’altra questione particolarmente delicata è l’impegno militare in Afghanistan, che Obama considera una delle massime priorità di politica estera. Il neo-presidente vorrebbe che gli alleati più riluttanti, tra cui spicca la Germania, inviassero più truppe e/o attenuassero le restrizioni all’uso delle truppe nazionali in operazioni di combattimento (i cosiddetti caveat). Ma in Germania la missione in Afghanistan è sempre meno popolare e né il cancelliere Merkel né il ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier sembrano disposti a sfidare l’opinione pubblica, tanto più che questo è un anno elettorale (si vota a settembre), e che Merkel e Steinmeier guideranno i rispettivi partiti rivali, l´Unione democristiana (Cdu) e il Partito socialdemocratico (Spd), in una campagna elettorale che si annuncia molto combattuta. La posizione di Berlino è che il contingente tedesco, che è stato portato da 3.500 a circa 4.500 unità lo scorso settembre, non aumenterà ulteriormente, né verrà spostato dalla sua zona di competenza, il relativamente tranquillo nord dell’Afghanistan.
Se Obama dovesse pubblicamente esercitare pressioni sulla Germania il risultato più probabile sarebbe quello di creare animosità e risentimento da parte tedesca. Una scappatoia potrebbe offrirla la revisione della strategia americana per l’Afghanistan. Intervenendo all’annuale Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera, sia il gen. David Petraeus, responsabile delle operazioni militari in Afghanistan e Iraq, sia Richard Holbrooke, il neo-designato inviato speciale per l’Afghanistan e il Pakistan, hanno insistito sul fatto che un maggiore impegno militare significa non solo più soldati, ma anche più materiali ed equipaggiamento, supporto logistico, attività di ricognizione e intelligence, addestramento delle forze di sicurezza afgane, e così via. È probabile dunque che le richieste americane a Berlino, almeno per i prossimi mesi, riguarderanno più le risorse che il numero o l’uso delle truppe. Se questa soluzione sia effettivamente praticabile è però incerto. Le forze armate tedesche stanno già compiendo uno sforzo significativo sul piano delle attività militari non di combattimento, e le risorse – tanto più con le limitazioni imposte dalla crisi – sembrano semmai destinate a diminuire.
In Afghanistan è naturalmente in gioco il ruolo della Nato. Stati Uniti e Germania stanno apparentemente convergendo su una linea politica che da una parte riafferma la centralità della Nato come asse portante della sicurezza transatlantica, e dall’altra riconosce la necessità di rafforzare la dimensione europea della difesa, in modo complementare e non concorrenziale alla Nato. Le dichiarazioni della Merkel, del presidente francese Nicolas Sarkozy e del neo-vicepresidente americano Joe Biden alla conferenza di Monaco sembrano indicare che l’intesa euroatlantica su questo punto sia ormai solida.
Resta da vedere, tuttavia, se il prossimo vertice Nato, che sarà ospitato congiuntamente proprio da Germania e Francia, sarà in grado di produrre linee guida chiare su questioni controverse come l’allargamento a Ucraina e Georgia e le relazioni con la Russia, che è fortemente contraria ad un’ulteriore espansione ad est dell’Alleanza atlantica. Pur lasciando aperta la prospettiva di un’adesione futura di Georgia e Ucraina, la Merkel a Monaco ha fatto intendere una volta di più che la Germania ritiene la questione prematura. Berlino – così come Parigi e altre capitali europee – considera la Russia un partner indispensabile per garantire la sicurezza di lungo periodo dell’Europa attraverso il dialogo e la cooperazione economica. Berlino vorrebbe in particolare che Usa e Russia rilanciassero i piani di riduzione delle testate nucleari (gli accordi detti “Start”) e di controllo degli armamenti convenzionali. I segnali distensivi dell’amministrazione Obama verso Mosca lasciano supporre che su questo punto, almeno nel breve-medio periodo, ci sia margine sufficiente per un accordo tra Usa e Germania.
L’incognita Iran e i dilemmi di Guantanamo
Una questione certamente critica è l’Iran. A dispetto dell’unità continuamente ostentata in pubblico, Germania e Stati Uniti si sono spesso trovati in disaccordo sulla strategia più appropriata per persuadere il governo di Teheran a rinunciare alle sue ambizioni nucleari. L’aperta disponibilità di Obama a trattare con gli iraniani – ferma restando la minaccia di inasprire le sanzioni – sembra però aver spianato la strada a una più stretta cooperazione. Il governo tedesco ha proprio di recente preparato un piano di inasprimento delle sanzioni che, nelle intenzioni, dovrebbe rafforzare la posizione negoziale di Obama e dei suoi partner (i tre grandi europei più la Cina e la Russia) nel braccio di ferro con l’Iran.
La Germania potrebbe avere un forte interesse a cooperare con gli Stati Uniti anche su una questione di grande impatto simbolico, la chiusura del carcere di Guantanamo. Obama vorrebbe che gli alleati europei ospitassero sul loro territorio i detenuti a Guantanamo che gli Usa non possono processare in patria per motivi legali, ma che nemmeno possono rispedire ai paesi d’appartenenza per timore che vengano sottoposti a tortura. Il governo tedesco si è diviso sulla questione, con il ministro degli esteri Steinmeier (Spd) favorevole a venire incontro agli Usa e il responsabile degli interni Wolfgang Schaeuble (Cdu) contrario. Sotto pressione da alcuni colleghi di governo e dall’opinione pubblica, Schaeuble ha infine ammesso che una soluzione potrebbe essere trovata, ma solo a livello europeo. Difficile per ora che la Germania si faccia avanti da sola.
L’agenda tedesco-americana include dunque molte questioni politicamente delicate. Sembrano esservi le condizioni perché i due paesi avviino un ciclo di cooperazione più intensa e di più alto livello di quanto sia accaduto nel recente passato. Pesano però due incognite di non poco momento. Da una parte la Germania è entrata in un anno elettorale e c’è dunque il rischio che i due partiti rivali al governo tendano a politicizzare questioni complesse che interessano la relazione con gli Usa (per es. l’impegno in Afghanistan), rendendo più difficile trovare una posizione di compromesso. Dall’altra gli effetti della crisi economica mondiale, particolarmente gravi negli Usa, potrebbero spingere Obama a optare per una politica di difesa degli interessi economici domestici che potrebbe compromettere un pieno rilancio della cooperazione con Berlino.