Russia e Turchia nel labirinto del Caucaso meridionale
In seguito alla guerra dello scorso agosto tra Russia e Georgia, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan ha lanciato una nuova proposta per un Patto di Stabilità e Cooperazione nel Caucaso (Cscp). Il principale obiettivo del Patto è la risoluzione del conflitto nel Caucaso meridionale attraverso lo sviluppo della cooperazione regionale. Da parte sua, anche la Russia ha intrapreso un’iniziativa volta alla ripresa delle trattative sulla questione del Nagorno-Karabakh, regione resasi de facto indipendente all’inizio degli anni novanta grazie al sostegno dell’Armenia, ma che è internazionalmente riconosciuta parte dell’Azerbaijan. Il 2 novembre il Presidente russo Dmitry Medvedev ha ospitato un incontro ufficiale tra il Presidente azero Ilham Aliyev e quello armeno Serzh Sargsyan. Il principale risultato dell’incontro è stata una dichiarazione congiunta sul Nagorno-Karabakh. Quali sono i punti principali dell’iniziativa turca e di quella russa? Quali le proposte concrete e le prospettive di una risoluzione del conflitto?
In cerca di un accordo regionale
Già alla fine degli anni ’90 Ankara aveva lanciato una strategia regionale di prevenzione dei conflitti simile a quella avanzata oggi, che era però rimasta sulla carta. Alcuni problemi di fondo rendono problematica anche la nuova proposta turca. L’obbiettivo del Cscp è creare un nuovo quadro di sicurezza regionale con la partecipazione dei tre paesi del Caucaso del sud (Armenia, Azerbaijan e Georgia) più Turchia e Russia. I conflitti etnici verrebbero così affrontati attraverso la cooperazione a livello regionale.
L’Armenia ha mostrato una cauta disponibilità verso l’iniziativa, ribadendo però la convinzione che “la risoluzione del conflitto nel Nagorno-Karabakh sarà possibile solo quando l’Azerbaijan riconoscerà il diritto all’autodeterminazione della popolazione del Karabakh, e quando quest’ultimo avrà continuità territoriale con l’Armenia”. Gli azeri, dal canto loro, hanno accolto l’iniziativa con scetticismo, riconoscendo però che “la Turchia vuole spingere l’Azerbaijan al compromesso e fare in modo che l’Armenia svolga un ruolo più pragmatico”. L’Azerbaijan guarda con apprensione a una possibile normalizzazione dei rapporti tra Turchia e Armenia e teme che Ankara possa usare l’iniziativa per aprire i confini con l’Armenia. Va ricordato infatti che il confine turco-armeno è chiuso dalla guerra nel Nagorno-Karabakh (1988–1993). Le relazioni tra Turchia e Armenia sono rimaste tese anche per il rifiuto di Ankara di riconoscere il genocidio subito dagli armeni durante la prima guerra mondiale. L’Azerbaijan utilizza la questione del confine come strumento di pressione sull’Armenia per indurla a fare concessioni sul Karabakh e gli altri territori azeri che ha occupato nei primi anni novanta. In sostanza, l’Azerbaijan dichiara che non parteciperà al Patto e si oppone al coinvolgimento dell’Armenia in qualsiasi progetto di cooperazione regionale finché non sarà risolta la questione del Karabakh. “Il Karabakh non sarà mai indipendente… l’Azerbaijan non lo riconoscerà mai, né fra 5 anni né per i prossimi 10 o 20 anni” ha dichiarato Aliyev durante l’inaugurazione del suo secondo mandato presidenziale.
Divergenze strategiche
Anche la partecipazione di Georgia e Russia al CSCP sembra, al momento, fuori questione. Tbilisi considera la Russia parte attiva nei conflitti con le proprie entità separatiste (Abkhazia e Ossezia del sud), ed è convinta che il Cremlino intenda semplicemente mantenere lo status quo. Tbilisi rifiuta inoltre di collaborare con Mosca finché le forze armate russe rimarranno in territorio georgiano. Da parte sua, il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che Mosca non aprirà alcun negoziato con il presidente georgiano Saakashvili, considerato “parte di uno speciale progetto americano”. La Russia non ha interesse a promuovere una cooperazione regionale che possa condurre ad uno sviluppo economico nel Caucaso del sud, che potrbbe facilitare l’integrazione di quei paesi nelle istituzioni euro-atlantiche. Infine, non è chiaro come coinvolgere nel patto le diverse regioni secessioniste, che sarebbero ovviamente interessati a partecipare all’iniziativa su un piano di parità con gli stati. Una tale condizione non ha però alcuna possibilità di essere accolta.
Il dilemma di Ankara
È difficile credere che Ankara non abbia preso in considerazione questi problemi. Ed è ragionevole pensare che la Turchia non si faccia soverchie illusioni sulle possibilità di successo dell’iniziativa. È molto probabile che Ankara intenda semplicemente mantenere lo status quo, evitando un peggioramento della situazione e salvaguardando i gasdotti del Caucaso e del Mar Caspio. L’iniziativa può anche essere interpretata da Ankara come un modo per dialogare cautamente con Mosca senza danneggiare i rapporti con gli Usa e con i partner caucasici e dimostrando la propria neutralità nei vari conflitti. Ufficialmente Russia e Armenia hanno reagito abbastanza positivamente all’iniziativa turca. Mosca non si aspetta l’appoggio diretto di Ankara alla sua politica oltre i confini, e vede con favore un ruolo neutrale di Ankara. Per di più, il patto tiene i partner occidentali a distanza dal Caucaso Meridionale. Infatti l’Europa sia gli Stati Uniti sarebbero esclusi dall’iniziativa.
La strategia di Mosca
Gli obiettivi della dichiarazione di Aliyev, Sargsyan e Medvedev sono ancora più difficili da identificare. La dichiarazione non contiene alcun approccio specifico, limitandosi a ribadire la necessità di continuare le trattative tra le parti.
Il primo punto del documento specifica che l’accordo politico dovrebbe essere basato sui principi e le norme del diritto internazionale. Il secondo riconferma l’impegno nella mediazione attualmente in corso, seguita dal Gruppo di Minsk dell’Osce, sulla base dei principi di Madrid. Tali principi includono: il ritiro delle forze armene dal Nagorno-Karabakh e dalle province azere occupate, compresi il distretto di Kelbajar e lo strategico corridoio di Lachin che collega l’Armenia con il Nagorno-Karabakh; la demilitarizzazione di questi territori e lo schieramento di una forza internazionale di peacekeeping; un accordo sulle procedure per il rientro dei profughi; infine, un referendum in Nagorno-Karabakh per determinare il futuro status della provincia. Il terzo punto della dichiarazione sottolinea la necessità di garanzie di sicurezza per la popolazione del Nagorno-Karabakh. Il quarto e quinto, infine, ribadiscono la disponibilità delle parti per una soluzione pacifica del conflitto e per esercizi di confidence building.
La dichiarazione non contiene alcun meccanismo né l’indicazione di azioni concrete per mettere in pratica questi provvedimenti, e rischia quindi di rimanere lettera morta. Piuttosto che favorire una reale soluzione del conflitto, quest’ultima iniziativa sembra essere rivolta a preservare l’influenza di Mosca sull’Armenia e estenderla anche all’Azerbaijan. L’iniziativa potrebbe inoltre essere considerata come un tentativo del Cremlino di ristabilire la sua credibilità di mediatore nei conflitti regionali dopo la guerra in Georgia della scorsa estate.
Nelle mani del Cremlino
In conclusione, sia l’iniziativa turca per un Patto di stabilità e cooperazione nel Caucaso sia la Dichiarazione firmata a Mosca sul Nagorno-Karabakh sembrano avere scarse possibilità di successo. È difficile che la Russia e la Georgia da un lato e l’Armenia e Azerbaijan dall’altro siano interessate a cooperare su queste basi. È anche dubbio che Ankara possa migliorare le sue relazioni con l’Armenia al punto da indurla ad accettare una posizione di compromesso sostenibile anche per l’Azerbaijan.
È più probabile che tali iniziative siano dirette al mantenimento dello status quo, il che è certamente nell’interesse della Russia. Nonostante siano possibili timidi passi in avanti nelle relazioni turco-armene (la Turchia sta iniziando a riconoscere che l’isolamento economico dell’Armenia non ha dato frutti), è probabile che l’Armenia rimanga legata a Mosca più che ad ogni altro paese della regione. In altre parole, la chiave dei conflitti nel Caucaso rimane nelle mani del Cremlino, e la stessa iniziativa turca, escludendo i paesi occidentali, ne è una riconferma.