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Dopo la guerra con la Russia

La Georgia verso un cambio della guardia?

24 Set 2008 - Nona Mikhelidze - Nona Mikhelidze

Se l’esercito russo si fosse fermato in Ossezia del sud, senza penetrare in profondità in territorio georgiano, probabilmente oggi Saakashvili non sarebbe più il presidente della Georgia. Mosca ha optato invece per un’invasione del paese facendo così apparire Saakashvili vittima di un’aggressione. Evidentemente mirava non solo e non tanto alle regioni separatiste o al rovesciamento del presidente georgiano, quanto a punire la Georgia e a dimostrare all’Occidente che non gli avrebbe consentito di interferire in quella che considera come una sua zona di influenza.

L’attenzione internazionale continua comprensibilmente a concentrarsi sui danni provocati dal conflitto, sui problemi della ricostruzione e sugli aiuti esteri di cui il paese ha bisogno. Come reagiranno, però, i georgiani quando le truppe russe avranno evacuato il paese? Molto probabilmente cominceranno a chiedersi come mai Saakashvili si sia spinto in una guerra che non aveva nessuna speranza di vincere.

Durante la crisi la quasi totalità dei georgiani si è stretta intorno al presidente. David Gamkrelidze, leader del partito d’opposizione “Nuovi Diritti”, ha annunciato una “moratoria” sulla lotta politica contro il governo. “Non c’è tempo per controversie politiche interne”, ha affermato, aggiungendo successivamente che sarebbe stato “scorretto” chiedere le dimissioni del Presidente “nei prossimi mesi”. Anche se poi ha cambiato parere e ha chiesto che Saakashvili rassegnasse le dimissioni e che si svolgessero elezioni presidenziali e parlamentari anticipate. Tuttavia ha escluso manifestazioni di protesta.

Anche altri leader dell’opposizione si sono astenuti dal criticare duramente il presidente durante l’aggressione russa. Fanno eccezione due interviste al Financial Times rilasciate il 15 agosto da due esponenti di spicco dell’opposizione: Levan Gachechiladze (già candidato alla presidenza) che ha preannunciato una campagna dell’opposizione per ottenere la convocazione di elezioni “al più presto”, possibilmente entro due mesi, e Kakha Kukava che ha affermato che “Saakashvili è personalmente responsabile dell’operazione militare e per aver cominciato una guerra che non potevamo vincere”. Kukava ha anche dichiarato che, una volta stabilizzata la situazione, i partiti dell’opposizione organizzeranno dimostrazioni per rovesciare il governo. Ma non appena queste interviste sono state riportate dalla tv russa i due politici hanno fatto marcia indietro, sostenendo che il giornale britannico aveva citato le loro dichiarazioni fuori dal loro contesto.

In generale gli oppositori temono che assumendo un atteggiamento critico nei confronti del presidente e del governo in carica siano bollati come “traditori e agenti della Russia”. Temono inoltre che la situazione possa sfuggire di mano e che la Russia approfitti della destabilizzazione del paese. Di conseguenza quasi tutti i leader dell’opposizione – incluso l’ex-presidente del Parlamento, Nino Burjanadze – sostengono che la priorità sia ora il ritiro delle truppe russe, ma che, una volta completato il ritiro, il governo dovrà rendere conto di molte “questioni spinose”. Di recente Burjanadze, in una conferenza stampa tenuta al ritorno a Tbilisi da un lungo viaggio negli Usa e in Europa, ha chiesto un’“indagine seria” per stabilire se sarebbe stato possibile evitare la guerra. Saakashvili, dal canto suo, ha tenuto una riunione di gabinetto in diretta televisiva, dichiarandosi pronto a un’inchiesta “trasparente”. Ha ribadito inoltre di assumersi “piena responsabilità per quanto accaduto prima dell’intervento russo e per la ricostruzione del futuro della Georgia”.

Soluzioni alternative?
Degna di menzione è anche un’altra affermazione fatta da Burjanadze durante la crisi: “Sono più che sicura di dover svolgere ora un ruolo politico molto attivo nel paese”. Questa affermazione sembra prefigurare un suo imminente rientro sulla scena politica. Alcuni a Mosca l’hanno indicata come un’alternativa accettabile a Saakashvili. Nella sua marcia verso la presidenza, Burjanadze ha tre possibilità: creare un proprio partito politico; stringere un’alleanza con alcuni gruppi dell’opposizione (ad es. con il Partito Repubblicano); trovare alleati nella cerchia di Saakashvili e in questo modo spaccare il governo. Finora non si è sbilanciata sulla formazione di un proprio partito; è un progetto che d’altronde potrebbe non realizzarsi prima del 2010, quando il paese andrà alle urne.

Alcuni vedono con favore una candidatura alla presidenza di Irakli Alasania, ambasciatore della Georgia alle Nazioni Unite, che con i discorsi che ha pronunciato durante la crisi si è costruito una notevole reputazione sia in patria che all’estero. Era stato anche considerato come un candidato accettabile dal governo de facto abkhazo. Si ritiene però che Alasania miri a succedere a Saakashvili solo dopo la fine del mandato di quest’ultimo. In ogni caso, egli non ha avvallato nessuna di queste supposizioni.

Koba Davitashvili, leader del Partito del Popolo, che è all’opposizione, ha invocato un governo di unità nazionale, dove siano rappresentate tutte le principali forze politiche. Gachechiladze ha commentato l’iniziativa sostenendo di aver anch’egli proposto a Saakashvili di formare un governo di emergenza con l’incarico di cambiare la legge elettorale, creare emittenti televisive indipendenti, e prevenire una crisi economica. Reagendo a queste pressioni, Saakashvili ha promesso di coinvolgere “l’intero spettro politico e l’opinione pubblica” nella gestione della crisi. Ha in effetti istituito un “consiglio anti-crisi” per monitorare l’utilizzazione degli aiuti esteri alla Georgia, dandone la presidenza a una figura minore dell’opposizione. I principali partiti di opposizione che non sono rappresentati in parlamento hanno però rifiutato di farne parte. È evidente che Saakashvili sta cercando di cooptare l’opposizione e alcuni gruppi sociali proprio per evitare di ritrovarsi di fronte alle “questioni spinose” a cui egli invece, secondo i suoi avversari, non potrà esimersi, prima o poi, di dare una risposta.

Dalla parte del Presidente
Queste “questioni spinose” sono poste peraltro da gruppi di opposizione guidati da figure nel complesso marginali, senza carisma politico, laddove i georgiani sono ancora alla ricerca di leader forti. Il capo del Partito Repubblicano David Usupashvili ha ammesso che la richiesta di dimissioni del presidente non avrebbe al momento l’appoggio popolare. È improbabile pertanto che Saakashvili si trovi in grosse difficoltà nel medio termine. Inoltre egli ha ancora frecce al suo arco. Va sottolineato infatti che all’inizio del conflitto egli ha usato tutti i suoi poteri (compresa la propaganda televisiva) per rafforzare la sua posizione. “Supereremo questa sfortuna se rimarremo uniti” è stato il suo messaggio principale. Ha fornito anche un rapporto dettagliato su come questa guerra sarebbe stata provocata dalle forze militari russe, concludendo di non aver avuto altra scelta che reagire. Ha inoltre sottolineato che le istituzioni da lui create hanno retto alla prova della crisi: in effetti lo Stato, la polizia, le banche hanno continuato ad operare anche nei momenti più difficili, anche dopo che l’autostrada che collega l’est con l’ovest della Georgia era stata distrutta; anche il lari, la valuta georgiana, è rimasta stabile; le forniture di energia in quasi tutte le aree occupate non si sono interrotte.

I russi stessi hanno dato una mano a Saakashvili. Kukava ha giustamente notato che “quando Medvedev dice che Saakashvili è “un cadavere politico”, sa perfettamente che queste affermazioni possono solo rafforzare Saakashvili all’interno della Georgia”. Medvedev è andato anche oltre: ha descritto il leader georgiano come una persona “afflitta da una massa di patologie” e che “assume narcotici”. Le autorità russe sembrano non comprendere che, finché continueranno ad insultarlo, Saakashvili apparirà come la vittima di un’aggressione, il che può solo aiutarlo.

Molto dipenderà dalla risposta occidentale e da chi l’Occidente sceglierà di sostenere con i fatti piuttosto che con le parole. Il presidente della fondazione georgiana per gli studi strategici, Alexander Rondeli, ritiene che le probabilità di Saakashvili di rimanere al potere siano “piuttosto alte” e che “la sua posizione non è così debole come sembra ad alcuni”, dato che Washington lo sostiene “comprendendo che elezioni e un cambio di governo indebolirebbero ulteriormente il paese in un momento in cui esso ha bisogno invece di essere ricostruito”. In effetti non vi sono ancora segnali che gli Usa intendano abbandonare il loro “uomo”: l’offerta incondizionata di aiuti lo dimostra. Il vice-presidente americano Dick Cheney, nel corso della sua visita a Tbilisi il 4 settembre, è stato d’altronde molto netto: “[Saakashvili] e il suo governo democraticamente eletto possono continuare a contare sul sostegno e l’assistenza degli Stati Uniti”.

Queste sono le conseguenze a breve termine della crisi russo-georgiana al livello politico locale. Fare previsioni a lungo termine è prematuro dal momento che costo ed effetti della guerra non sono ancora del tutto chiari. Infine, finché anche un solo carro armato russo resterà in Georgia è molto probabile che le “questioni spinose” che si pongono sia gli attori interni che quelli internazionali restino senza risposta.