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Unione europea

Europa e legittimità democratica: due proposte

8 Ago 2008 - Michele Comelli, Jean-Pierre Darnis - Michele Comelli, Jean-Pierre Darnis

È consuetudine, di questi tempi, parlare del “deficit democratico dell’Europa” e della lontananza del processo d’integrazione europea dai cittadini. Varrebbe forse la pena ricordare che, a differenza di quanto viene sbandierato da più parti, le decisioni a livello dell’Unione europea non vengono prese da organi burocratici, come la Commissione – che ha solo poteri di proposta e di attuazione – ma dal Consiglio dell’Ue, formato dai Ministri dei paesi membri.

Non ripetere gli errori del passato
Resta comunque il fatto che le istituzioni vengono percepite come distanti dai cittadini, come è stato sottolineato dalla gran parte delle analisi relative alle ragioni del recente no irlandese al Trattato di Lisbona. Dopo quel voto, molti hanno puntato il dito contro le motivazioni contrastanti che hanno portato alla vittoria dei no nella consultazione referendaria. Indicando peraltro vie d’uscita molto diverse fra loro: prendersi una nuova pausa di riflessione; elaborare una soluzione con gli irlandesi, spingendoli magari a votare di nuovo; mettere già in conto che li si dovrà escludere dai futuri processi di integrazione. Si ripetono però alcuni errori di fondo già commessi in occasione della vittoria dei “no” nel referendum olandese e in quello francese del 2005.
Gli europeisti chiamati in causa hanno legittimamente difeso le ragioni della costruzione europea, insistendo sul ruolo del Parlamento europeo, sui lavori e la composizione della Convenzione che aveva elaborato il Trattato costituzionale europeo, sui difficili compromessi raggiunti. Difendere la costruzione europea è giusto, ma insufficiente: bisogna fare di più per andare incontro alla richiesta di maggiore trasparenza e legittimità dell’Ue. Che questo sia un problema soprattutto di percezione non è una buona ragione per negarne l’esistenza. Si sa che in politica, sia interna che internazionale, le percezioni contano, eccome se contano.
Che fare, quindi? Negare la legittimità di questi referendum può essere estremamente pericoloso: creerebbe un’ulteriore diffidenza nei confronti di un’Europa che pretende di ignorare i risultati di consultazioni popolari. E se alla radice del problema vi fossero le modalità di elaborazione e adozione dei trattati – percepite come poco trasparenti e democratiche – e, più in generale, i modi e le forme con cui vengono organizzati gli altri cruciali eventi politici europei piuttosto che un rifiuto di fondo dell’integrazione europea? Non è un’ipotesi affatto trascurabile. E vale perciò la pena cercare di identificare alcune soluzioni che possano accrescere il tasso di trasparenza e democraticità dei principali appuntamenti politici dell’Unione. Che si potrebbe fare, quindi, su questo terreno?

Unificare data e modalità di voto
Una prima risposta possibile riguarda le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Che sulla carta dovrebbe essere il momento centrale della vita democratica dell’Unione Europea. Di fatto però un insieme di fattori, quali l’attitudine dei partiti politici, la mancanza di collegamenti tra le elezioni nei vari paesi, ecc. rende le elezioni parlamentari europee un evento politicamente ambiguo e mediaticamente opaco. La prima cosa da fare è rendere più “europee” le elezioni per il Parlamento europeo, che invece sono diventate uno dei tanti appuntamenti elettorali nazionali, in cui l’Europa tende ad essere solo un elemento accessorio. Si dovrebbero prevedere procedure elettorali uniformi in tutti i paesi Ue: questo è niente di più di quanto stabilito dal Trattato sulla Comunità europea all’art. 190 par. 4, disposizione mai attuata. Votare con lo stesso sistema e nello stesso giorno darebbe la percezione che le elezioni siano davvero europee e non meramente nazionali. Spetterebbe poi ai partiti politici e ai media spiegare le cose come stanno: che si stanno eleggendo dei rappresentanti per un Parlamento europeo, che ha nel corso del tempo acquistato poteri più ampi e che non è più l’organo legislativo “fittizio” di un tempo.

C’è poi la questione specifica della legge italiana che regola le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. L’attuale legge elettorale suddivide il paese in sole cinque circoscrizioni elettorali, con il risultato, tra l’altro, che le regioni meno popolate non riescono nemmeno ad eleggere un europarlamentare. E’ il caso della Sardegna, che condivide la circoscrizione elettorale con la Sicilia: quest’ultima, essendo molto più popolata, finisce sistematicamente per eleggere tutti i rappresentanti della circoscrizione. Si determina, di conseguenza, uno scarso collegamento tra elettori ed eletti (quanti cittadini saprebbero indicare uno o più parlamentari europei eletti nella propria regione?). La proposta di riforma di legge elettorale presentata a inizio agosto dal ministro Calderoli, prevede lo sbarramento al 4%, la preferenza unica e l’innalzamento del numero delle circoscrizioni da cinque a dieci. Questa proposta, che tornerà ad essere discussa a settembre, va nella giusta direzione, ma è necessario che sia salvaguardata l’opzione delle preferenze, escludendo quella delle liste bloccate, propugnata da altri politici di primo piano, che impedirebbe di fatto agli elettori di scegliere direttamente i propri rappresentanti al Parlamento europeo.

Coinvolgere di più i parlamenti nazionali
Le riforme, si sa, per essere efficaci e percepite come tali dall’opinione pubblica, devono avere anche una visibilità mediatica. Questo ci porta al secondo tipo di proposta: la creazione di un meccanismo che consenta di coinvolgere i parlamenti nazionali nei processi di riforma delle istituzioni europee, una volta che queste siano state elaborate a livello intergovernativo. Si potrebbe pensare ad esempio, a organizzare ogni anno una riunione contemporanea dei parlamenti nazionali – si tratterebbe virtualmente di un riunione congiunta – dedicata alle riforme istituzionali. Attraverso questo meccanismo stabile e molto leggibile democraticamente, sarebbe possibile promuovere un dialogo ravvicinato fra i parlamentari nazionali e fra i questi ultimi e quelli europei. Tale dialogo oggi non esiste. In particolare, i parlamenti nazionali ratificano le modifiche ai trattati isolatamente l’uno dall’altro. Questo duplice percorso di riforma, perfettamente compatibile con il mantenimento delle sovranità nazionali, potrebbe contribuire a dare una risposta alla crescente richiesta di rendere più democratico e trasparente il processo di riforma delle istituzioni, e costituire un’occasione per un salto in avanti nella comunicazione con l’opinione pubblica .