IAI
Rapporto Nomisma 2007

Verso un sistema internazionale fluido?

18 Giu 2008 - Alessandro Politi - Alessandro Politi

Il Rapporto Nomisma 2007 sulle prospettive economico-strategiche, “Nomos & Khaos”, preparato dall’Osservatorio Scenari Strategici e di Sicurezza, suscita la domanda se stiamo andando nel mondo verso più caos o più legge.

Oltre il concetto di stabilità
La risposta oggi è di due tipi: strutturale e congiunturale. Strutturalmente il vecchio ordine mondiale non solo continua a decadere, ma soprattutto, così com’è strutturato, non serve più. Serve invece un nuovo sistema di riferimento basato sulla logica della rete, in grado di superare la crisi altrettanto strutturale dello stato nazionale.

Bisogna in sostanza abbandonare il concetto stesso di stabilità, come difesa del vecchio ordine mondiale (ricordate il “We need a new world order” di George Herbert Bush, 1991 dopo la vittoria in Quwait?) perché la stabilità viene sfidata, metamorfosata e metabolizzata da tre aspetti:
– La liquidità della condizione contemporanea (come illustrato da Zygmund Baumann), che liquefa il tradizionale concetto d’identità statica e facilmente discriminabile;
– Il principio d’indeterminatezza (Werner Heisenberg), in base al quale non è possibile in un dato sistema di riferimento determinare simultaneamente la posizione e la direzione del moto di una particella, allo stesso modo per cui non è possibile farlo per un esponente politico;
– Il paradigma delle reti (Mark Granovetter, Jukka Pekka Onnela et al.), che permette di vedere, come differenti tipi di legami siano essenziali per il funzionamento di una rete di rapporti sociali, comunicativi e quindi politici.

Europa liquida
Tutto questo ha ricadute molto concrete sul modo di concepire il percorso politico in Europa:
A. Dove finisce l’Europa? I confini sono liquidi perché l’Europa ha certo una sua comune Kultur assai composita e riconoscibile, ma essa non può essere rinchiusa in un’identità fortemente delimitata e definita (e.g. una delle sue principali matrici religiose), tanto meno in confini cosiddetti “naturali” o “etnici”;
B. Dopo il fallito referendum sul trattato di Lisbona in Irlanda, dove è l’Europa? Come la citata particella, è un oggetto che sfugge ad inquadramenti totalizzanti, perché è identificabile dai suoi tre pilastri istituzionali e politici o dalla sua moneta, ma non si esaurisce in essi ed è talvolta altrettanto complesso riconoscere a che punto si trovi ed ancor più quale direzione abbia preso;
C. Chi fa l’Europa? Sotto l’impalcatura degli stati e delle istituzioni, ci sono numerose reti che modellano la consapevolezza e la realtà europea, molto più delle presidenze e dei vertici dell’Unione europea.

Il futuro della costruzione Europa consiste in quelle che definiamo reti euroglocal, le quali per esistere non possono fare a meno di un radicamento nel territorio, unito ad una presenza sullo scacchiere europeo ed un’apertura mondiale. Sono reti innovanti con nuclei non gerarchizzati, ma con capacità di trasmissione ed accesso alle informazioni superiori nel confronto alle istituzioni strutturate ed alla comunicazione sociale diffusa. La borghesia è ormai un celacanto, perché è stata letteralmente sublimata dalla dubbia parabola del 1968, ma le reti euroglocal sono le eredi trasversali e mondiali del terzo stato e dell’intellighentsija della prima metà secolo scorso.

Questo diverso sistema di riferimento permette di comprendere quanto il dibattito istituzionale sia fossilizzato rispetto ad un metodo che concepisce l’Ue come rete, come insieme di nodi indispensabili e, potenzialmente, come rete di reti. Se si accetta questa premessa, allora si comincia a capire che l’idea di un nucleo forte abbia una valenza piuttosto relativa.

Un debole nucleo forte
La debolezza del nucleo forte, nonostante alcune sue indubbie attrattive rispetto alla suicida unanimità delle regole di voto di Nizza, è tranquillamente visibile nei negoziati con l’Iran: tanto i 3 dell’Ue quanto i 5+1 non ottengono quei risultati folgoranti che la ristrettezza della formula prometterebbe. In questo senso un allargamento del nucleo gioverebbe alla coerenza interna delle trattative europee, ma non necessariamente al suo impatto sull’élite iraniana.

Anche questa debolezza non è congiunturale, ma è figlia della instabilità interna che affligge tutti i maggiori attori della scena internazionale, pubblici, privati, religiosi, ed è causa principale della fine degli assi e delle relazioni speciali di antica memoria.

Gli equilibri tra attori globali sono oggi fluidi (liquid balances), cioè caratterizzati da diversità e talvolta contraddittorietà nei diversi rapporti e livelli d’interazione ed il mondo a sua volta è modellato da 7 flussi strutturanti (shaping flows): il livello dei mari, l’acqua potabile, il cibo, le migrazioni, l’energia, i capitali, l’informazione e l’istruzione.

L’evoluzione degli scenari globali
La parte congiunturale invece presenta i seguenti punti d’interesse:

– I fondi sovrani d’investimento (Swf) stanno rivoluzionando il rapporto tra stato e mercato, compenentrandoli, anche se rappresentano il tentativo di recupero della sovranità da parte di alcuni stati con mezzi moderni;

– Secondo il rapporto britannico Stern Review un incremento di 5°C della temperatura nel mondo sarebbe una concreta minaccia per circa 300 milioni di persone, per la sopravvivenza stessa di città come Tokyo, New York e Londra, causando anche una riduzione del Pil globale del 20%. Il mutamento del clima va considerato tra i grandi rischi globali;

– L’Artico è sinora una questione tattica tra potenze locali, ma, se i ghiacci si scioglieranno, significherà che la Russia avrà porti sufficienti ed agibili per essere una potenza atlantica e pacifica, esattamente come gli Usa e con vie marittime più brevi;

– La prossima presidenza statunitense si sta preparando ad abbandonare la guerra al terrorismo, ormai inutile ed in via di vittoria, a favore di una più normale lotta al terrorismo (così come avvenne per la guerra alla droga degli anni ’80) e sarà indotta nel giro di due anni a compiere un mid-term hook, cioè una svolta di metà legislatura, per riassestare il proprio bilancio federale, l’economia e gli assetti di una società sempre più a dominante bietnica;

– La Cina ha tutte le potenzialità per emergere, almeno per un breve periodo, come protagonista nel Pacifico, avendo come comprimario antagonista gli Usa e come ulteriori poli di potenza la Russia ed il Brasile, centro di gravità dell’America Meridionale. Tuttavia Pechino deve anche superare enormi fragilità agroalimentari, sociali e politiche se non vuole godere di un’effimera supremazia;

– L’India e l’Iran sono le potenze emergenti nell’Oceano Indiano, ma il modo in cui si affermeranno e, in parte, come interagiranno dipende anche dagli esiti delle partite diplomatiche bilaterali con gli Stati Uniti. Un accordo sottobanco tra Tehran e Washington favorirebbe entrambi i paesi, chiudendo in larga misura la disastrosa vicenda irachena;

– L’Africa non solo sta crescendo economicamente a ritmo sostenuto, non solo sta assistendo ad una competizione sinoamericana con un reinserimento della Francia e l’arrivo del Brasile, ma sta cominciando a porre le prime fragilissime basi per la gestione diretta dei propri conflitti principali (Darfur e Somalia);

– Le possibilità di una pace nel Levante (a cominciare da quella tra Israele e Siria) diventano sempre più concrete dal punto di vista strutturale precisamente perché l’area non è più una priorità strategica per nessuno;

– L’Europa deve prepararsi ad affrontare non solo la crisi del trattato di Lisbona, ma quella ben più pericolosa di una scissione morbida del Belgio sia sotto forma di creazione di un nuovo stato fiammingo, sia con l’istituzione di una confederazione di tipo bosniaco nel cuore dell’Europa.

In definitiva nessun nomos è nato da situazioni chiare ed ordinate, anzi è faticosamente dal chaos che ha seguito la decadenza di un vecchio nomos. Compito dell’analista è individuare i possibili percorsi ed opportunità in direzione di un nuovo sistema di riferimento.