IAI
Cambiare le regole dell’Unifil?

Provocazioni ed eccessi di zelo in Libano

29 Apr 2008 - Roberto Aliboni - Roberto Aliboni

Le prime dichiarazioni di politica estera che provengono dalla coalizione vincitrice delle elezioni politiche italiane del 13-14 aprile – la coalizione fra il Popolo della Libertà e la Lega del Nord – hanno riguardato il Medio Oriente. Nel corso della campagna elettorale l’ex ministro della Difesa del passato governo Berlusconi, Antonio Martino, aveva accennato all’opportunità di spostare in Iraq le forze italiane attualmente impegnate nel Sud del Libano nel quadro dell’Unifil 2. Immediatamente, Berlusconi stesso smentì ogni intenzione di ritorno in Iraq e confermò la volontà di restare invece in Libano. Rilevò, però, la necessità che nel Libano del Sud siano cambiate le regole d’ingaggio delle nostre forze. Allora era parso riferirsi ad un problema di autodifesa. Dichiarazioni fatte subito dopo le elezioni si riferiscono invece più chiaramente alla necessità di contenere il riarmo dello Hizbollah da parte dell’Iran e della Siria, affidando alle nostre forze e all’Unifil 2 un mandato di disarmo delle forze Hizbollah più cogente e specifico di quello, assai generico, che hanno oggi.

Come valutare queste dichiarazioni sulle nostre forze nel Libano del Sud, ammesso che si tratti di un indirizzo solido? Quale politica mediorientale sembrano annunciare?

Da Prodi a Berlusconi
Venuta meno la presenza in Iraq, il governo Prodi ha mantenuto le forze in Afghanistan nel quadro della Nato e inviato nel Sud del Libano il più rilevante dei contingenti che sono andati a formare la Unifil 2. Sono state seguite due direttive: una presenza militare strettamente finalizzata alla pacificazione e allo sviluppo; una presenza “vicina” – il Libano – più immediatamente legata alla sicurezza nazionale ed europea e destinata a sostenere il parallelo, importante sforzo diplomatico che Roma ha svolto nella regione, e una presenza “lontana” – in Afghanistan – destinata a testimoniare il nostro contributo attivo alle alleanze occidentali. A questo stesso scopo “lontano” sono stati rivolti gli sforzi di addestramento di militari e funzionari iracheni che l’Italia ha continuato a svolgere dopo aver chiuso la missione militare a Nassiriya. Questa linea ha privilegiato la risoluzione dei conflitti attraverso mezzi essenzialmente politici nei teatri vicini all’Italia e all’Europa; ha mantenuto, ma ha riqualificato e ridimensionato, l’appoggio alle alleanze nei teatri lontani.

Il Governo entrante in qualche modo riprenderà le fila della sua politica precedente e certamente imprimerà dei cambiamenti alla linea del governo Prodi. È probabile che dia ascolto alle pressanti richieste americane affinché gli alleati innalzino qualitativamente e quantitativamente la loro presenza in Afghanistan – dove l’impegno alleato è complessivamente inadeguato e dove gli Usa si apprestano comunque ad accrescere quello loro. Potrebbe farlo cambiando le regole d’ingaggio, ma senza aumentare l’entità della forza. In realtà vincoli finanziari e militari, la lontananza del teatro e le incertezze in ambito Nato richiederanno delle riflessioni e del tempo.

Il mantenimento della forza in Libano, sulla base di regole d’ingaggio diverse da quelle correnti, è invece una politica che dal punto di vista dell’Italia si presta ad un’immediata attuazione senza costi rilevanti. Tuttavia, non sembra una politica prudente.

Le dichiarazioni sul Libano non vanno prese alla leggera. Al manifestato intento di cambiare le regole d’ingaggio della nostra forza nell’Unifil 2 non vale replicare, come hanno subito fatto il Partito Democratico e il ministro Parisi, che le regole d’ingaggio le fissa l’Onu, come se i paesi coinvolti nella missione non potessero chiedere all’Onu cambiamenti o aggiustamenti. Quello che il governo italiano sembra voler fare non è un cambiamento unilaterale delle regole, ma una richiesta all’Onu di riconsiderare il mandato con l’obiettivo di riformularlo. Non è improbabile che da qui abbia inizio la politica del nuovo governo dell’Italia verso il Medio Oriente. La richiesta è omogenea alla politica americana nella regione ed è quindi omogenea alla linea mediorientale che Berlusconi riprenderà dalla sua precedente esperienza di governo.

Le tensioni da considerare
Di questo nuovo inizio si può tentare sin d’ora una valutazione. Innanzitutto, va detto che, nel delicato quadro della crisi libanese e delle sue ramificazioni regionali, la richiesta di cambiamento nelle regole d’ingaggio che Berlusconi sembra avere in mente, per il solo fatto di essere avanzata, può essere intrinsecamente destabilizzante. Secondo la valutazione della maggioranza degli osservatori, le possibilità di conflitto armato nella regione sono oggi nuovamente considerevoli e il conflitto più probabile non è nel Golfo – un attacco degli Usa all’Iran – ma nel Vicino Oriente. Qui, la tensione è ovunque altissima, alimentata in loco dalla situazione di Gaza e da quella del Libano e pilotata, a distanza, da Teheran e dagli Usa. Ci sono stati segnali molto forti di questa alta tensione, come l’assassinio di Imad Mughniyeh e il bombardamento israeliano nel nord-est siriano.

Le due crisi in atto, quella libanese e quella palestinese, invece di trovare spiragli di soluzione, continuano ad avvitarsi senza che se ne veda una fine o si intravveda una pausa. Non c’è dubbio che rilevanti quantità di armi affluiscono in Libano dall’Iran via Siria. La stessa Siria sembra aver apprezzato la strategia missilistica dello Hizbollah durante la guerra del 2006 e si sta riarmando per acquisire capacità analoghe. Israele viola quotidianamente i cieli del Libano a mo’ di ammonimento e ha appena concluso importanti esercitazioni civili e militari in vista di uno scontro con la Siria. È evidente che c’è un equilibrio molto instabile, nel cui ambito la richiesta di cambiare le regole d’ingaggio di Unifil potrebbe facilmente avere un impatto negativo sulle percezioni dei contendenti e accrescerebbe quindi il rischio di conflitto armato nella regione.

In secondo luogo, l’idea di cambiare le regole d’ingaggio in Libano va vista nel quadro delle diverse visioni e dei diversi interessi che dividono gi Stati Uniti dagli attori regionali, a cominciare da Israele. Per gli Usa il Levante è oggi un teatro di confronto con l’Iran, sia pure a distanza e attraverso forze interposte. Questo confronto, come nel Golfo, non prevede compromessi, privilegia gli strumenti coercitivi e ha come obiettivo la resa dell’Iran e dei suoi alleati regionali. La mossa che annuncia il governo italiano mirerebbe a dare all’Unifil un ruolo di contenimento dello Hizbollah e della Siria che oggi questa forza delle Nazioni Unite non ha e sarebbe quindi coerente con gli umori e gli obbiettivi degli Usa, che – ribadiamo – non cercano una composizione, ma lo scontro.

Diversità di approccio
Washington, quando l’Onu iniziò a negoziare il cessate il fuoco, insistette assai petulantemente perché la forza di interposizione avesse la funzione precipua di disarmare lo Hizbollah, trascurando il fatto che lo Hizbollah non aveva certo perso la guerra. L’atteggiamento di Israele fu allora diverso da quello Usa e la formazione dell’Unifil a Gerusalemme fu molto apprezzata. In effetti, oggi come allora, Israele ha approcci diversi da quelli americani. A Gerusalemme si è convinti come negli Usa che il nemico di fondo sia l’Iran, ma verso gli alleati regionali dell’Iran la politica israeliana prevede anche approcci diplomatici. Così, è evidente che in Israele, anche nell’ambito del governo Olmert, un negoziato con la Siria con l’obiettivo di restituire il Golan in cambio di serie garanzie di sicurezza nel quadro regionale è considerato auspicabile. Tale svolgimento, secondo Israele, indebolirebbe l’Iran. Gli Stati Uniti, invece, non vogliono questo negoziato perché puntano semplicemente a mettere la Siria nell’angolo. Non è escluso che Israele, a un certo punto, come è accaduto altre volte nella storia dei rapporti con il suo maggiore alleato, decida di procedere privilegiando le sue percezioni degli interessi nazionali di sicurezza.

In Italia si dovrebbe considerare che nel quadro regionale la proposta di cambiare le regole d’ingaggio in Libano è facilmente destinata a trovare risposte diverse a Washington e Gerusalemme. Sicuramente, anche al Cairo, a Riyadh e nelle altre capitali del mondo arabo moderato. Altrettanto sicuramente questi messaggi verranno trasmessi al nuovo governo.

In conclusione, la richiesta di cambiare le regole d’ingaggio di Unifil potrebbe risolversi in una inutile e rischiosa provocazione a livello regionale. La richiesta è certamente in linea con i sentimenti dell’amministrazione americana e, quindi, se il suo scopo è semplicemente quello di rafforzare il legame bilaterale dell’Italia con gli Stati Uniti, la mossa può avere anche senso. Tuttavia, i legami bilaterali con gli Usa sono destinati a durare oltre questa amministrazione, ormai al crepuscolo.

La politica della prossima amministrazione, anche se sarà repubblicana, sarà diversa da quella di Bush e prenderà in considerazione anche opzioni diplomatiche che l’arrogante politica dell’attuale Presidente ha sistematicamente scartato. In questo senso, l’iniziativa che Berlusconi ha accennato sulle nostre forze in Libano potrebbe risolversi in un eccesso di zelo transatlantico. Meglio aspettare e, nel frattempo, continuare a lavorare nel solco diplomatico aperto nella regione dal governo Prodi, grazie ai suoi contatti verso il fronte arabo moderato.