L’Unifil II in Libano: un bilancio della presenza italiana
È tempo di fare un bilancio della nostra presenza in Libano e del contributo dato alle forze di pace organizzate nel quadro della Unifil II. La prima operazione delle Nazioni Unite in Libano ebbe luogo nel 1978, dopo l’intervento israeliano. Le Nazioni Unite furono in grado di creare una forza di pace nel 1978, con la risoluzione 478 del Consiglio di Sicurezza (CdS): l’Unifil, che aveva il compito di monitorare il ritiro israeliano. Ma l’Unifil, cui anche l’Italia aveva fornito un contingente, non fu in grado né di prevenire la guerra civile, né di impedire i successivi interventi di Israele e della Siria.
Intervento coordinato
L’Italia tornò alla ribalta in Libano nel 1982, quando un contingente militare fu inviato a Beirut per assicurare l’evacuazione dei combattenti palestinesi e la protezione della popolazione civile della città libanese negli anni più bui della guerra civile e degli interventi degli interventi di Israele e della Siria. Si trattava di un’operazione multinazionale intrapresa con il consenso del governo libanese, ma senza essere disposta dal CdS delle Nazioni Unite. La presenza italiana, che agiva nel quadro di un’operazione coordinata con altri paesi occidentali (in particolare Francia, Regno Unito e Stati Uniti) si protrasse per circa due anni con due operazioni distinte.
La presenza israeliana in Libano è durata fino al 1985, quando le forze israeliane si ritirarono dalla zona di sicurezza al confine tra Israele e Libano, mentre la Siria fu costretta a ritirarsi nel 2005 e ad eseguire la risoluzione del CdS 1559 (2004) che aveva intimato il ritiro completo della forze armate straniere dal Libano.
La crisi dell’estate del 2006, originata dall’incursione degli Hezbollah in Libano e dalla pesante reazione israeliana, ha visto come protagonista l’Italia, che è riuscita a convocare a Roma una conferenza sotto la presidenza di Italia e Stati Uniti, cui hanno partecipato il Segretario Generale delle Nazioni Unite e il premier libanese Sinora. La Conferenza di Roma ha aperto la strada per la successiva adozione della risoluzione 1701 del CdS, la fine dei bombardamenti israeliani e lo stabilimento di una Forza di pace, idealmente il proseguimento dell’Unifil, ma da questa differente sotto il profilo quantitativo e qualitativo e per questo viene correntemente indicata con il nome di Unifil II. Il CdS ha prorogato la missione su basi annuali con la risoluzione 1773 (2007).
Il contributo militare italiano è stato ed è tuttora determinante e si è svolto lungo le seguenti direttrici.
In primo luogo, la Marina Militare è riuscita ad evacuare cittadini italiani (e anche stranieri) dalla zona di Beirut, nonostante il blocco aereo e navale istituito dagli israeliani. La MM ha inoltre provveduto ad inviare aiuti umanitari. Naturalmente Israele ha acconsentito che per ragioni umanitarie si potesse entrare nella costa bloccata.
In secondo luogo, l’Italia si è posta a capo di una forza navale (composta, oltre che dall’Italia, da Francia, Grecia e Regno Unito) che ha sorvegliato le acque adiacenti alle coste libanesi per impedire che le milizie presenti in Libano fossero rifornite in uomini e mezzi militari. La Interim Maritime Task Force ha permesso di togliere il blocco israeliano, che perdurava nonostante la proclamazione del cessate il fuoco. La forza navale è poi diventata una componente dell’Unifil II, sotto comando tedesco. In questi giorni è stato annunciato che il comando della componente navale passerà alla Francia e all’Italia.
Forza consistente
Determinante è stato ed è il contributo dato all’Unifil II in uomini e mezzi. La Forza, il cui numero ammonta secondo il massimo programmato a circa 15.000 uomini, vede la partecipazione di 27 Stati, ma il contingente italiano è quello più numeroso (seguito da quello francese e spagnolo).
Le operazioni di pace sono un meccanismo ben oliato, ma hanno seguito alterne vicende. Uno dei problemi cruciali ha per oggetto il comando e il controllo della Forza ed il rapporto tra Stati Fornitori e Segretario Generale delle Nazioni Unite. La questione è ben nota e sollevò una serie di polemiche durante le operazioni delle Nazioni Unite in Somalia negli anni Novanta. Da una parte, i comandanti sul campo ricercano l’autorità dello Stato nazionale; dall’altra, il Segretario Generale pretende che la Forza sia sotto il suo esclusivo controllo.
Per ovviare, almeno in parte, a tali problemi è stata istituita una Cellula Strategico-Militare, che dovrebbe far da tramite tra la Forza di Pace e il Dipartimento per le Operazioni per il mantenimento della pace (Dpko). La Cellula è stata istituita ad hoc con Unifil II ed è diretta da un generale italiano, cui dovrà seguire un generale francese. Anche la Cellula ha sede a New York ed è formalmente un organo delle Nazioni Unite. L’esperienza non è stata del tutto edificante, tra l’altro perché si sono verificate incomprensioni tra Cellula e Dpko. Tuttavia si tratta di un meccanismo da non lasciare cadere ed eventualmente da migliorare.
Altra prassi (negativa) nell’esperienza libanese è stata ed è l’assenza di un rappresentante del Segretario Generale sul terreno. In Libano sono stanziati una pluralità di alti rappresentanti delle Nazioni Unite, che interagiscono con i rispettivi uffici alla sede delle Nazioni Unite, a New York, a scapito di una visione unitaria. È da aggiungere che le risoluzioni del Cds non sono sempre chiare o comunque si prestano ad interpretazioni non univoche. Per certi aspetti anche le risoluzioni 1701 (2006) e 1773 (2007) non sfuggono a questa considerazione.
Tutto questo si ripercuote sulle regole d’ingaggio che, pur essendo dettate dalle Nazioni Unite, non possono non tener conto dei caveat che ciascun contingente nazionale deve osservare. Una delle principali fonti di controversia riguarda la definizione delle legittima difesa, se deve essere intesa in senso restrittivo oppure in senso più ampio e comportante una reazione anche in caso di semplice intento ostile, prima che il nemico faccia uso delle armi.
Per quanto riguarda l’Italia, si tratta di caveat che sono dettati dall’articolo 11 della Costituzione, talvolta interpretato in senso troppo restrittivo, dimenticando che la disposizione costituzionale proibisce esclusivamente la guerra di aggressione. Anche perché la distinzione tra peace-keeping, disciplinato da un’applicazione consuetudinaria del Capitolo VI dello Statuto delle Nazioni Unite, e peace-enforcing, regolato dal Capitolo VII, è diventata opaca e sempre più spesso si sente parlare di “peace-keeping robusto” La polemica sull’applicazione del Codice penale militare di pace o del Codice penale militare di guerra alle nostre missioni all’estero è spesso influenzata da un’interpretazione irrealistica dell’art. 11 della Costituzione.
Soluzione politica
L’altro punto riguarda la dimensione politica dell’operazione di pace. Per sua natura la Forza di pace non può prendere parte al dibattito politico che ha luogo nel Paese in cui è stanziata. Ma la mancanza di una direzione politica finisce per sminuire il compito della Forza di pace. La direzione politica è frutto di un delicato equilibrio tra Nazioni Unite e Stati fornitori, maggiormente impegnati. I limiti sono costituiti dal fatto che l’Unifil II è una mera operazione militare, senza una particolare attenzione o prospettiva per la ricostituzione del tessuto politico, economico e istituzionale libanese. Di per sé la sola presenza militare non può condurre alla stabilizzazione interna libanese, senza un seguito politico che andava adeguatamente pianificato. Gli interventi militari non possono durare troppo a lungo: è necessario intravedere una soluzione politica. La speranza, per quanto riguarda il Libano, è che la crisi attuale sia rapidamente risolta e che vi sia una ricaduta positiva dal Vertice di Annapolis.
Un’ultima considerazione riguarda l’Europa. La crisi libanese è stata un’occasione persa per l’Unione Europea (Ue). Gli europei sono presenti in forze, con i loro contingenti, ma hanno perso l’opportunità di inviare sul terreno una missione a guida europea, con un Quartier Generale Ue. L’Ue è presente nel senso che i paesi europei sono i maggior Stati fornitori. Ma l’Ue, come istituzione, è assente (a parte l’attivazione del Centro di informazione e monitoraggio del Meccanismo di protezione civile). Una forte presenza Ue avrebbe potuto essere un esperimento per saggiare i rapporti Ue-UN, specialmente se l’Ue fosse stata inserita nella Cellula strategico-militare.