Una terza politica per il Mediterraneo?
Il prossimo 5-6 novembre avrà luogo a Lisbona la conferenza annuale dei ministri euro-mediterranei degli Affari esteri. I rapporti con il Mediterraneo hanno sempre rivestito una grande importanza per l’Europa. Nel 1995 l’Unione Europea prese l’iniziativa di stabilire il Partenariato Euro-Mediterraneo (Pem) – nel cui ambito si svolge la conferenza ministeriale di Lisbona – e nel 2004 ha avviato la Politica Europea di Vicinato (Pev). Entrambe queste politiche, però, sia pure per motivi diversi, lasciano insoddisfatti i loro protagonisti. Il Pem è stato politicamente bruciato dal progressivo deteriorarsi del conflitto israelo-palestinese. La Pev è una politica bilaterale alla quale solo pochi paesi del sud Mediterraneo collaboreranno, onde l’idea-forza di partenza, che era una sorta di comunità regionale, è destinata a frammentarsi in un fascio di singoli rapporti assai diversi fra loro. Nell’insieme, la drammatica fase aperta dall’intervento americano in Iraq e il basso profilo che l’Ue mantiene nei confronti di quegli eventi, mancandole la necessaria coesione politica, ha indebolito e screditato le politiche mediterranee dell’Ue.
Scarsa coesione
C’è una certa stanchezza dei Governi nei confronti del Mediterraneo. Le attività che la Commissione gestisce e dirige nel quadro Pem e Pev sono numerose, utili e talvolta anche importanti, ma manca ad esse un’anima politica che dia loro coerenza e coesione. La Commissione, nel documento preparatorio della conferenza , sottolinea qualche piccola novità e alcune rifiniture alle cooperazioni in atto, ma non può dare alla politica euro-mediterranea quell’intesa politica di fondo che le manca. La conferenza di Lisbona non sembra in grado poter cambiare questo stato di cose.
Intanto, Nicolas Sarkozy, il nuovo presidente della Repubblica francese, porta avanti una sua proposta di Unione Mediterranea, una proposta di cui abbiamo già parlato su questa rivista . La proposta è stata ribadita il 23 ottobre scorso dal presidente in un discorso tenuto a Tangeri nel corso della sua visita ufficiale in Marocco. Questo discorso, aduggiato da un’abominevole retorica, non aggiunge molto a quanto il candidato Sarkozy aveva detto nel discorso tenuto a Tolone durante la campagna elettorale. Di questa proposta nondimeno si parla molto nelle istituzioni europee e nelle cancellerie. In effetti, essa potrebbe essere presentata, o almeno accennata, a Lisbona, dove ai ministri si chiederebbe una prima pronuncia su di essa. Mette conto perciò cercare di capire meglio in che cosa essa consista e se possa rianimare lo scenario di per sé non molto vivace e promettente che oggi caratterizza le relazioni euro-mediterranee.
Il presidente francese ha, fra altri socialisti, interpellato anche Michel Rocard chiedendogli di occuparsi del dossier Unione Mediterranea. Rocard ha chiesto quale sarebbe l’articolazione che il progetto avrebbe con l’Unione Europea, qualunque ne siano poi i contenuti. Non sembra che abbia ricevuto una risposta soddisfacente e ha, almeno per ora, lasciato cadere l’invito del presidente. In effetti, la definizione di questa articolazione è cruciale. In genere, i paesi nordici non capiscono perché si debba aggiungere una terza politica verso il Mediterraneo a quelle già esistenti. Spagna e Italia sono più disponibili, ma a patto che un terzo progetto non butti a mare le politiche esistenti e quello che i due paesi vi hanno politicamente investito. In generale, prevale l’idea di riorientare e rafforzare le politiche comunitarie esistenti piuttosto che quella di inaugurarne un’altra, ma se proprio un’altra iniziativa dovesse intervenire, prevale l’idea che essa debba essere complementare e non competitiva con l’Unione Europea, il Pem e la Pev.
Quale cooperazione?
Quando Sarkozy fu eletto e confermò l’iniziativa, si parlò di Unione Mediterranea come cooperazione europea rafforzata. Ma questa evidentemente non appare una soluzione soddisfacente, né ai francesi, che probabilmente vedono l’iniziativa in termini più ambiziosi di una cooperazione rafforzata, né agli altri, che non vedono i motivi di una cooperazione rafforzata laddove Pem e Pev coprono già largamente – nel male o nel bene – la cooperazione verso quest’area. Questa cooperazione mediterranea dell’Ue è largamente comprensiva e include tutti i suoi membri: che cosa significa una cooperazione parziale? Finché non arriverà una risposta convincente alla domanda di Rocard, a definizione dell’ambito politico ed operativo dell’iniziativa, difficilmente essa potrà avanzare.
La risposta potrebbe risiedere nel modello offerto dal Consiglio Nordico, che si occupa di una serie di interessi comuni fra i paesi del Nord Europa che fanno parte dell’Ue e la Russia. Il Consiglio assicura la sintonia con la Commissione e l’Unione, i loro progetti e le loro politiche, ma opera sulla base di risorse proprie, non comunitarie, per la realizzazione di progetti propri che interessano la coesione dell’area a cavallo fra il nord dell’Unione e la Russia. Anche l’Unione del Mediterraneo di Sarkozy punta a mettere in pratica dei progetti d’interesse per le due sponde del Mediterraneo (acqua, energia, addestramento, immigrazione) il cui finanziamento sarebbe assicurato da fonti private.
Se questa impresa fosse presa in mano dai paesi del Sud Europa e da quelli del Nord Africa (che sono quelli cui essenzialmente si riferisce l’iniziativa), fosse finanziata da risorse che essi assicurerebbero in aggiunta a quelle che fluiscono attraverso il Pem e la Pev, e tutto ciò fosse fatto nel quadro di un’intesa con la Commissione e l’Ue, questa terza politica mediterranea potrebbe essere complementare a quelle dell’Ue e non mettere in contestazione le politiche comuni esistenti. È al Consiglio Nordico che pensa Rocard. Chi scrive ha fatto lo stesso suggerimento in un seminario tenuto nell’Istituto di Studi Strategici dell’Ue a Parigi all’inizio di settembre.
In realtà, ci sono differenze fra gli obbiettivi del Consiglio Nordico e quelli di un’eventuale Unione Mediterranea basata sul modello del Consiglio, poiché non c’è dubbio che i progetti dei paesi dell’Europa del Nord con la Russia hanno una portata infinitamente più locale di quelli che avrebbero i progetti dei paesi del Sud Europa con la sponda sud del Mediterraneo (anche ove questa restasse limitata, com’è appare sensato che sia, ai paesi del Nord Africa). Dossier come quelli dell’immigrazione, dell’addestramento (legato all’immigrazione), dell’energia e anche dell’acqua riguardano evidentemente anche molti altri paesi europei.
Tuttavia, la formula di un più specifico impegno sub-regionale ai margini dell’Unione, purché in sintonia con l’Unione, indubbiamente farebbe senso. Occorre anche rilevare che l’allargamento dell’Unione Europea ha messo in evidenza una certa eterogeneità di interessi e obbiettivi delle sue componenti sub-regionali. Questo lo si è visto nel caso del Consiglio Nordico, lo si potrebbe vedere in quello dell’Unione Mediterranea, comincia a intravedersi con l’organismo di Cooperazione Economica del Mar Nero. Da un altro punto di vista, se sono eterogenei gli interessi sub-regionali all’interno dell’Ue, non meno eterogenei sono anche gli interessi dei diversi settori del vicinato. L’emergere di forme complementari all’Ue di cooperazione interregionale ai margini dell’Unione va inteso come una tendenza positiva, che rafforza le politiche dell’Ue senza interferire con la loro coesione europea ed efficacia esterna. Questo tipo di cooperazione parziale potrebbe affiancarsi bene alle politiche generali che l’Ue conduce a nome di tutti i suoi membri.
Nel Mediterraneo, lo abbiamo già detto, non sarà una strada facile da aprire (neppure nel mar Nero). Però, questa potrebbe essere una strada su cui muoversi per uscire dall’insoddisfazione odierna.