L’Europa e le sanzioni: una soluzione da appoggiare
Nel quadro dei colloqui in corso, l’Iran risponderà proprio in questi giorni all’Aiea sulla natura e gli scopi della sua industria nucleare. Entro novembre l’Aiea potrà chiedere chiarimenti e si pronuncerà. Anche gli Usa hanno deciso di aspettare l’esito dei nuovi colloqui Aiea-Iran prima di chiedere che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu inasprisca le sanzioni in essere. Ma sia la Cina sia la Russia hanno già manifestato il loro dissenso su questo passo. Dunque, è assai improbabile che il Consiglio di Sicurezza inasprisca le sanzioni, nel qual caso gli Usa quasi certamente lo faranno per conto proprio. Intanto, la Francia sta spingendo perché anche l’Unione Europea stabilisca unilateralmente sanzioni contro l’Iran, accompagnando e rafforzando quelle degli Usa. Conviene seguirla? Il Consiglio dei ministri dell’Ue ha appena rinviato la risposta a novembre, come gli Usa. Intanto qualche riflessione può essere utile.
Dottrina organica
en plein di coesione sia europea che transatlantica. Ci sono tre elementi a consigliare un’iniziativa unilaterale europea verso l’Iran. Il primo è che l’iniziativa europea farebbe gioco alle “colombe” dell’amministrazione americana e contribuirebbe ad allontanare l’opzione militare. Il secondo elemento è che la coesione transatlantica ed europea che ne deriverebbe potrebbe favorire la ricerca e l’attuazione di una soluzione al vero problema di fondo della regione, che resta quello delle condizioni per uno stabile equilibrio del Golfo e un ritiro over the horizon delle forze americane e occidentali. Il terzo elemento è il rafforzamento della pressione sull’Iran, che finora ha oltremodo beneficiato delle divisioni internazionali.
Pressioni su Teheran
L’accrescimento della pressione sull’Iran è forse il fattore più importante. Più che a provocare il cedimento dell’Iran, sarebbe diretta a stanare quei settori della dirigenza iraniana il cui obiettivo non è tanto quello di entrare in possesso dell’arma nucleare, quanto di plasmare con gli Usa e l’Occidente un rapporto di riconoscimento dei reciproci interessi, in particolare circa il ruolo regionale dell’Iran (per inciso, in un contesto e su una scala diversa, importanti settori neo-nazionalisti della dirigenza siriana puntano oggi nel Levante allo stesso obiettivo.) Le sanzioni dovrebbero costringere i conservatori nazionalisti a smarcarsi dai conservatori radicali e fondamentalisti come Ahmadinejad. Se ciò accadesse, il negoziato nucleare potrebbe diventare più concludente. Ma come sarebbe poi il negoziato sul ruolo dell’Iran?
Non bisogna nascondersi le alee di un tale negoziato, né illudersi sulla sua portata. Le scarse prove fatte alla conferenza di Baghdad e a quella di Sharm el-Sheik nella prima parte di quest’anno fra Usa e Iran (e Siria) hanno mostrato scarsa flessibilità tra le parti. In Occidente si è parlato molto della necessità di riconoscere il ruolo regionale dell’Iran come condizione per una sistemazione generale del profondo rivolgimento che l’intervento americano in Iraq ha aperto nel Golfo, ma nessuno ha definito questo ruolo e le sue compatibilità con gli interessi dell’Occidente. Il Gruppo di Studio sull’Iraq di Baker e Hamilton ha suggerito di andare a vedere che cosa l’Iran e le altre potenze regionali desiderano, il che è diplomaticamente corretto; ma quanto si verrebbe a conoscere potrebbe rivelare richieste e pretese inaccettabili e portare a un fallimento negoziale ancora più grave di quello sul nucleare, specialmente se non esistesse una previa e chiara definizione da parte dell’Occidente di quello che esso, a sua volta, vuole.
Nuove divisioni
L’eliminazione dell’Iraq dallo scacchiere geopolitico del Golfo ha creato un vuoto nel quale si è rafforzato il contrasto fra Iran e Arabia Saudita, fra persiani e arabi, fra sciiti e sunniti, tracimando dal Golfo verso l’intera regione. In questo conflitto, i conservatori nazionalisti iraniani che cosa chiederebbero all’Occidente e quest’ultimo che cosa sarebbe pronto a dare? Chi predica un negoziato a tutto campo con l’Iran, si aspetta probabilmente, a fronte di un ritiro americano dalla regione, garanzie iraniane sull’ordine regionale: in merito all’Afghanistan, agli “emirati” sciiti, sunniti e curdi che emergerebbero in Iraq, più in generale all’argine da innalzare contro il terrorismo di radice wahabita. Ma non significherebbe tutto questo riconsegnare all’Iran più o meno il ruolo che aveva al tempo dello Scià?
I paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, che oggi pure desiderano un allontanamento degli Usa dalla regione, non accetterebbero. Neppure gli altri paesi arabi moderati. Probabilmente neppure gli Usa. Questo non significa che una dettagliata ricognizione delle rispettive posizioni non possa portare a definire una situazione di equilibrio in grado di soddisfare tutte le parti regionali, ma è chiaro che un passo verso questo negoziato richiede una forte preparazione da parte dei paesi dell’Occidente e soprattutto una forte coesione. Elementi che ora mancano.
In questo senso, l’inasprimento delle sanzioni, attraverso l’Onu o più probabilmente in via unilaterale da parte degli Usa e dell’Ue, sarebbe una buona mossa tattica: essa consentirebbe di accentuare la pressione, mostrare la determinazione occidentale, ma darebbe anche tempo ad un dibattito interno all’Occidente su che cosa fare e a che cosa puntare rispetto alle complessità del Medio Oriente.
Riequilibrio regionale
L’inasprimento delle sanzioni, tuttavia, dovrebbe essere accompagnato da passi destinati a rendere manifesta l’intenzione di fondo dell’Occidente di consentire all’Iran un ruolo regionale e internazionale più adeguato ed equilibrato di quello attuale. Uno sviluppo del genere sarebbe comunque positivo e stabilizzante. L’intenzione sottolineata dal ministro degli Esteri italiano nei giorni scorsi a Nuova Delhi di aprire le porte del G8 ai grandi paesi asiatici indica una direzione giusta. Giusta in senso generale, poiché l’evoluzione corrente nei rapporti fra i membri del Consiglio di Sicurezza – che riguardano l’Iran ma anche il Kosovo – suggerisce un indebolimento delle capacità di governo dell’Onu nel vicino futuro e, a fronte di questo indebolimento, il rafforzamento di altri poli di governance sarebbe utile.
In tale prospettiva, non c’è dubbio che il G8 sia un candidato giusto. È una direzione giusta anche nello specifico dell’Iran. L’Iran, sotto il bastone delle sanzioni, potrebbe nel contempo essere chiamato a far parte del G8 e cominciare ad accrescere il suo ruolo per questa via. L’Italia avrà la presidenza del G8 nel 2009 e – ferma restando la necessità di un dibattito occidentale sull’Iran e il suo ruolo – potrebbe intanto contribuire a facilitare e chiarire i rapporti con l’Iran predisponendo un suo ruolo nel G8.
Dunque, le sanzioni a questo punto sembrano utili per diverse ragioni. La Francia va appoggiata. Esse non dovrebbero significare però una chiusura verso l’Iran, ma dovrebbero essere accompagnate da misure volte a favorire un maggiore e più responsabili integrazione di questo paese nel sistema internazionale. Misure da concertare con la Francia e gli altri governi europei in modo che le sanzioni diventino una strategia e non una rassegnata reazione all’ostinazione iraniana.