La corsa al petrolio dell’Artico
Lo scioglimento dei ghiacci dell’Artico ha raggiunto un livello record secondo l’Agenzia Spaziale Europea (Ase), che a metà settembre ha presentato più di 200 immagini che documentano la riduzione della superficie ghiacciata da 2.4 a 1.6 milioni di km quadrati tra il 2005 e il 2007. Ma la fusione dei ghiacci polari dovuta al surriscaldamento globale è in realtà una tendenza di cui si parla da almeno 20 anni, e che sta adesso innescando una vera e propria corsa all’Artico.
Duplice è la posta in gioco: da un lato renderà navigabile il ‘leggendario’ passaggio a Nord-Ovest, una rotta di navigazione, che, passando attraverso l’arcipelago artico canadese e proseguendo attraverso lo Stretto di Bering, collega l’Oceano Atlantico all’Oceano Pacifico con un vantaggio di 6 o 7 giorni rispetto al canale di Panama; dall’altro, renderà accessibili i giacimenti di idrocarburi dell’Oceano Artico, che gode attualmente dello status di acque internazionali, secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, e che si stima possano contenere tra i 3 e i 16 miliardi di barili di petrolio, o fino al 25 per cento delle riserve inesplorate.
Competizione crescente
In un contesto internazionale in cui cresce la domanda di idrocarburi, anche per il sempre più rapido sviluppo economico dell’Asia, e si impenna il prezzo del petrolio, la competizione tra le nazioni subartiche – Canada, Danimarca, Norvegia, Russia, e Stati Uniti – si sta surriscaldando. Il terreno del contendere è quello della sovranità sulle risorse in questione, che in base alla Convenzione Onu rimane indefinita.
Per il Canada, il cui governo conservatore ha adottato come motto il verso dell’inno nazionale “the true North strong and free”, l’Artico è una questione strategica fondamentale. A metà agosto, il primo ministro canadese Stephen Harper ha compiuto una visita di tre giorni nel territorio artico del Nunavut, durante la quale ha annunciato due progetti militari tesi a sostenere le rivendicazioni di sovranità del Canada sull’Artico. Con un investimento multimilionario, il Governo canadese infatti costruirà un centro di addestramento al combattimento in condizioni estreme a Resolute Bay, 600 km a sud del Polo Nord magnetico, e un porto d’altura nel villaggio minerario abbandonato di Nanisivik, all’estremo nord dell’isola di Baffin, che consentirà il rifornimento ai vascelli di pattugliamento, attualmente costretti a rientrare nei porti base sulla costa atlantica o pacifica. Inoltre, circa due mesi fa il governo canadese aveva annunciato lo stanziamento di 3,1 miliardi di dollari canadesi (circa 2, 2 miliardi di euro) per la costruzione di 6-8 pattugliatori d’altura di 5° classe.
Ma la volontà canadese di consolidare il controllo sul passaggio a Nord-Ovest ha radici più lontane: una disputa territoriale sull’isola di Hans, situata nello stretto di Nares tra l’isola canadese di Ellesmere e la Groenlandia, oppone il Canada alla Danimarca dal lontano 1984, e si è riaccesa nel 2005 a seguito di una visita del ministro canadese della Difesa. Inoltre, gli Stati Uniti, che nel 1985 avevano inviato un sottomarino attraverso le acque artiche canadesi senza previa richiesta di autorizzazione, continuano a rivendicarne lo status di acque internazionali, in questo sostenuti dall’Unione Europea.
Per quel che riguarda i fondali artici, invece, il punto è che la Convenzione Onu concede la sovranità sulle acque che si estendono fino a un massimo di 200 miglia dalla costa. Di conseguenza vi sono più di un milione di chilometri quadrati di acque non attribuite, e naturalmente gli appetiti sono molti. Ma su questo versante, come osserva in un’intervista su Le Soleil Micheal Byers, professore di diritto internazionale e geopolitica presso la University of British Columbia, il Canada, non disponendo di mezzi rompi-ghiaccio adeguati, sconta un ritardo di una decina di anni rispetto agli altri paesi artici che sono invece più agguerriti.
Rischi ecosistemici
Infatti, ai primi di agosto la Russia ha inviato una spedizione sottomarina nelle profondità dell’Oceano Artico finalizzata proprio a raccogliere prove del prolungarsi della piastra continentale russa fino al Polo. Mentre sempre a metà agosto si è saputo che anche la Danimarca sta organizzando una spedizione a partire dall’isola norvegese di Svalbard al fine di raccogliere prove del prolungarsi fino al Polo della piastra continentale danese a partire dalla Groenlandia.
Le ambizioni canadesi sembrano quindi concentrarsi per ora sul controllo del passaggio a Nord-Ovest e i due progetti annunciati appaiono tesi a consolidare la sovranità di quel paese su entrambi i lembi del passaggio. Inoltre il reclutamento di 900 nuovi Ranger vuole inviare un ulteriore forte segnale a quei paesi che tuttora osteggiano le naturali rivendicazioni canadesi.
Se la potenziale apertura di questa nuova rotta rappresenta una incredibile opportunità per lo sviluppo dei traffici tra Occidente e Oriente, essa rappresenta al contempo una minaccia per l’ecosistema artico e la protezione dell’ambiente circostante, ma, guardando agli equilibri europei, anche una sfida per i porti del Mediterraneo e in particolar modo dell’alto Adriatico, attualmente favoriti dall’esplosione degli scambi con l’Asia rispetto a quelli del Nord-Europa.
D’altro canto, l’eventuale monopolio sugli idrocarburi dell’Artico da parte di un paese terzo verrebbe a esacerbare la vulnerabilità energetica del Continente e solleverebbe inevitabili problemi di sicurezza energetica, in una fase di crescente incertezza della continuità degli approvvigionamenti.