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Libia

Cambiamenti più apparenti che reali

11 Giu 2007 - Carlo Calia - Carlo Calia

Il 14 maggio scorso l’agenzia di stampa palestinese ha annunciato che Gheddafi era in coma profondo, ma subito i libici si sono affrettati a mostrare che il loro Capo dello Stato continuava la vita di sempre. Ha forse avuto solo un malore, oppure la notizia era del tutto senza fondamento. Ma in questi anni molto è cambiato nella politica estera della Libia e ora qualcosa si muove anche in politica interna. Perciò qualunque sia il fondamento della notizia sulla salute del leader libico ci si domanda spesso, al di fuori delle luci pubbliche, quale siano i possibili sviluppi della situazione in Libia.

Economia e società
Dopo i cambiamenti e la parziale apertura del gruppo dirigente al mondo estero, Gheddafi, sospinto dal circolo ristretto dei suoi famigliari, si è deciso a tentare l´introduzione di modifiche in economia, perché lo stato di povertà e di arretratezza della popolazione libica è apparso tale da poter minacciare il suo controllo del paese. Tutti infatti sanno che dietro la facciata pubblica di una democrazia definita popolare e partecipativa, invece che rappresentativa, dietro le Commissioni che prendono formalmente le decisioni a livello centrale o locale, si nasconde il governo di un uomo solo e del suo entourage. In trent’anni di potere e con grandi ricchezze petrolifere, Gheddafi ha creato uno Stato nel quale sono poche le istituzioni sufficientemente funzionanti, un sistema senza alcuna garanzia legale, con scuole e ospedali inadeguati, poche strade maltenute e una popolazione in maggioranza povera, isolata e impreparata per il mondo moderno.

Spiegazione ufficiale di questo stato di arretratezza era stato finora il conflitto con le potenze imperialiste e le sanzioni economiche imposte al paese. Ma l’Onu ha eliminato il regime delle sanzioni nel 2003 e gli stessi Stati Uniti hanno ripreso le relazioni diplomatiche nel 2004, dopo che Gheddafi ha accettato di chiudere la vicenda degli attentati terroristici alle linee aeree e di porre fine al suo programma di armamento nucleare e chimico. Ora in Libia oltre la metà della popolazione ha meno di 20 anni, è in cerca di un lavoro e si domanda come mai un paese così ricco di petrolio, da anni non più sottoposto a restrizioni commerciali, continua ad essere notevolmente più povero di tutti i paesi vicini. A questo punto è stato lo stesso figlio del dittatore ed erede designato alla sua successione, Saif al-Islam, ad essere incaricato di dirigere un gruppo di riformatori libici, ai quali sono stati aggiunti anche dei consulenti stranieri.

Ricordando l’Albania
La situazione sociale trovata dagli esperti stranieri in Libia presenta aspetti analoghi a quella dell’Albania al momento della fine del regime di Enver Hoxha. Solo che lo “Hoxha libico” è ben saldo al potere e quindi la riforma deve riguardare rigorosamente il solo campo economico, con cambiamenti lenti e prudenti. Si annunciano licenziamenti di 120.000 persone nella elefantiaca burocrazia statale, ma poi si precisa che gli stipendi continueranno ad essere loro pagati per altri tre anni, in attesa che i licenziati trovino un nuovo lavoro nel settore privato, che però quasi non esiste. Secondo i consulenti, l’economia libica è un caos inestricabile, nel quale il problema principale è la mancanza di un numero sufficiente di giovani libici adeguatamente educati.

Qualcosa comunque è cambiato. Sino a poco tempo fa la proprietà privata non esisteva in Libia, il capitalismo era un delitto, la professione di avvocato sconosciuta e la stessa musica occidentale era proibita. Di fondo, i libici vorrebbero fare parte del mondo moderno, ma non sanno come arrivarci. Molti sono inoltre abituati a un basso livello di aspettative e non sono entusiasti dell’idea che, per migliorare le loro condizioni di vita, debbano in cambio rinunciare a un tipo di Stato che garantisce loro un minimo di sussistenza senza alcuno sforzo.

La politica di repressione interna, intanto, continua come prima: assenza di qualsiasi libertà di parola, di riunione, di stampa, impunità per i rappresentanti del Governo, arresti arbitrari, spesso torture nei confronti degli oppositori. È chiaro a tutti, quindi, che in Libia continua inalterato il controllo totale di Gheddafi e della sua tribù, esercitato tramite i principali dirigenti dello Stato e, naturalmente, la polizia segreta. E cosa dice, dunque, il “Fratello Leader” nei suoi discorsi pubblici? Gheddafi ha dichiarato che la Libia non può resistere al vento del cambiamento imposto dalla globalizzazione e quindi che non si può tornare all’era “di ostilità e di confronto” con il mondo occidentale. A questo proposito, secondo alcuni osservatori, la sorte di Saddam Hussein non era a suo tempo passata inosservata a Tripoli.

Il sistema di governo libico è ovviamente basato sui redditi del petrolio. È questo il campo nel quale la Libia ha effettivamente introdotto misure di liberalizzazione economica nei confronti delle attività delle società estere operanti nel settore. Con immediati risultati, come provato dal recente annuncio di una società di ricerca straniera che ha trovato un nuovo campo di petrolio di circa 5000 milioni di barili, dal valore attuale, cioè, di 25 miliardi di dollari. I paesi emergenti in affannosa ricerca di fonti energetiche, come la Cina e l’India, si sono da parte loro dichiarati disponibili a discutere una riduzione sostanziale del 20% usualmente concordato negli accordi di condivisione dei guadagni della produzione di petrolio. Le riserve di valuta estera sono così salite a 56 miliardi di dollari, una cifra enorme, per un paese con solo 5,6 milioni di abitanti. Con tali mezzi tutto sarebbe possibile. Una ferma determinazione nel perseguire con pazienza una politica di riforme potrebbe senz’altro raggiungere l’obiettivo di cambiare in meglio la società libica e le sue condizioni di vita e di cultura. Se questo fosse il vero programma del governo libico.

Continuità sostanziale
Non sono però cessate le lamentele del leader libico nei confronti dei paesi occidentali. La Libia infatti non sarebbe stata sufficientemente ricompensata per la decisione di sospendere i programmi di armamento di distruzione di massa. Né sono finite le accuse agli stranieri di “lavaggio del cervello” agli emigrati libici, rimandati poi nel paese come spie. Anche Saddam Hussein, che era stato abbandonato nella sua politica di scontro con gli Stati Uniti, viene da Gheddafi descritto come un martire e un santo. Necessità propagandistiche a uso interno, per mostrare un minimo di continuità con la precedente politica? Forse non solo.

Anche nei confronti dell’Italia l’eterna litania di rinnovate richieste di compensi per i danni e le colpe coloniali, con la danza di nuove offerte di chiusura del contenzioso grazie alla costruzione di una autostrada di duemila chilometri lungo la costa, con una spesa totale 3,5 miliardi di euro, bilanciata in modo alquanto parziale dalla chiusura del contenzioso con le ditte italiane danneggiate dalle decisioni libiche prese nel 1970, che ha un valore stimato di soli 600 milioni.

In conclusione il dittatore libico siede su grandi ricchezze ma, esibendo un paradossale complesso di inferiorità nei confronti dei paesi occidentali, continua a ritenere che sia più conveniente cercare di estrarre da loro fondi e concessioni, piuttosto che non finanziare autonomamente i suoi progetti di sviluppo.

Gli attuali uomini di governo italiani beneficiano di buoni rapporti personali con Gheddafi e alcuni dei suoi principali collaboratori, a cominciare dal figlio. Prodi è l’uomo che per primo invitò Gheddafi a Bruxelles, nella sua qualifica di Presidente della Commissione europea, mentre D’Alema beneficia a Tripoli di un’immagine non differente da quella che un tempo si attribuiva ad Andreotti, quello cioè di un uomo che capisce alcune fondamentali esigenze del mondo arabo.

Del resto anche Berlusconi e alcuni dei suoi ministri sono in Libia considerati degli amici, una qualifica nient’affatto secondaria in un paese la cui politica estera è condotta anche sulla base di relazioni personali e di clan.