Le relazioni franco-italiane dopo la vittoria di Sarkozy
L’elezione di Nicolas Sarkozy alla presidenza della repubblica francese segna una svolta a Parigi: un leader giovane giunge al potere, con un piglio riformista e conservatore allo stesso tempo, e inizia subito a declinare le sue visioni. Ci si può dunque interrogare sulle conseguenze che avranno queste elezioni per le relazioni con l’Italia. La prima risposta è ovvia: niente cambierà, anche perché non c’e niente da cambiare, dato che non c’è mai stato un canale privilegiato fra la Francia e l’Italia dai tempi di Mitterand e Craxi in poi. Esiste, però, una serie di dossier per i quali le visioni del futuro presidente francese impattano gli interessi italiani.
L’assetto nel Mediterraneo
Nei suoi vari interventi, Nicolas Sarkozy ha ribadito un concetto che aveva già esposto in alcuni meeting della campagna elettorale, quello di “Unione Mediterranea”, una costruzione politica paragonabile all’Unione Europea ma che dovrebbe svilupparsi nel Mediterraneo, in partenariato con Spagna, Portogallo e Italia. Sarkozy magari non lo sa, ma si inserisce nell’antico dibattito che ha visto la Francia promuovere il dialogo 5+5 fra paesi del Sud dell’Europa e paesi del Maghreb, mentre l’Italia proponeva una volta una Cscm, la conferenza sulla sicurezza e la cooperazione nel Mediteranneo. Tra l’altro questo filone è stato poi portato a sistema dall’Europa nell’ambito del partenariato euromediterraneo, una politica oggi un po’ insabbiata.
Nicolas Sarkozy, appena eletto, propone una specie di “Barcellona Bis”, piú geopolitica che techno-bruxellese, un’Unione Mediterranea che assocerebbe i paesi del Sud dell’Europa con quelli della sponda nord dell’Africa. L’intento è certamente lodevole, perché mira a rilanciare un forum di dialogo nell’ambito di una zona problematica e di alta sensibilità politica.
Però l’Europa ha già sviluppato una serie di strumenti molto avanzati nell’ambito euro-mediterraneo, come ad esempio la politica di vicinato. La visione geopolitica di Sarkozy che vuole aprire un nuovo baricentro nel Mediterraneo va dunque confrontata con le politiche europee gia esistenti per cercare di migliorarne l’efficienza, ed è certamente un dossier sul quale l’Italia ha un suo ruolo da giocare.
Europa sotto esame
Nicolas Sarkozy sta anche precisando la sua visione europea. Si dichiara europeista, ma chiede che l’Europa ascolti la richiesta dei popoli di una maggiore protezione nei confronti della mondializzazione. Facendo questo Nicolas Sarkozy non esprime una sua personale visione, bensí quella della maggioranza del paese: l’Europa viene messa sotto esame perché sospetta di un’integrazione di matrice tecnocratica bruxellese che non lascerebbe spazio alla legittimità democratica e che non darebbe ascolto alle ispirazioni dei popoli.
Certo, quando proclama “con me la Francia è tornata nell’Europa”, Sarkozy vuole far pensare a una soluzione semplice all’impasse del “no” francese al trattato. Si sa che è a favore di una versione minima del trattato, da adottare per via parlamentare. Ribadisce quindi la propria identità europea, ma avverte anche che l’Europa deve essere riformata e rendere conti agli Stati membri.
Sarkozy rappresenta un’elettorato francese maggioritario che si è raggruppato intorno a lui per sostenere la sua candidatura. In questo raffigura bene un trend europeo, non soltanto francese, dove la Nazione viene considerata il vero livello di legittimità politica. Sarkozy auspica una ripresa del negoziato intergovernativo sul trattato, ma scarta a priori l’idea, piú ambiziosa ma piú pericolosa, di un nuovo referendum in Francia, un riflesso che dimostra quanto sia poco federalista. Nell’odierno contesto europeo, Sarkozy rappresenta un’opportunità per sbloccare la governance europea perché il suo decisionismo non si può conciliare con un’Europa bloccata. Ma sarà il promotore di una particolare agenda, concreta ma ridotta, con la quale i principali partner europei dovranno misurarsi.
Come ministro dell’Economia, Sarkozy ha già dimostrato nel caso Alsthom la sua volontà di difendere gli assetti industriali pubblici nei confronti delle regole della concorrenza europea. Per l’Europa, come per la politica interna, vedremo all’opera lo stile Sarkozy: piú diritti, ma anche piú doveri. Sarkozy apre per la Francia una stagione piú politica e meno tecnocratica, che ben corrisponde a un uomo che può vantare una lunga esperienza politica, pur senza essere passato dalle file dell’Ena.
Sarà sicuramente a favore dei grandi progetti europei, purché ciò non significhi avallare la burocrazia di Bruxelles.
Questo da un lato potrà rappresentare un freno al funzionamento di alcune logiche dell’Unione, di cui la Francia potrebbe bloccare alcune iniziative; ma d’altro canto potrà offrire una vera sponda ai partner disponibili a delle cooperazioni privilegiate, ad esempio nel campo industriale, energetico o nei poli di ricerca e sviluppo. Come a suo tempo Chirac, Sarkozy vuole dimostrare la sua capacità di fare, un desiderio che può offrire un’opportunità per alcuni partner su dossier bilaterali o europei. E fra l’Italia e la Francia non mancano i dossier aperti nelle industrie energetiche, aerospazio e difesa, banche e assicurazioni nonché sul miglioramento delle infrastrutture fra i due paesi.
Uno stile americano
Infine Sarkozy è stato spesso presentato dalla stampa internazionale come “Sarko l’americano”: la sua visita a George Bush, mentre era in campagna elettorale, segnerebbe una svolta rispetto ai leader politici francesi del passato, a lungo sospettosi nei confronti degli Usa. Certamente lo “stile” Sarkozy è tutto rivolto alla cultura del risultato, del “fare” o del “comunicare”, area in cui il futuro presidente eccelle. Inoltre, il suo leitmotiv di “diritti e doveri”, di una democrazia dove esiste il “rispetto”, vede certamente negli Stati Uniti un modello.
Ma questo non significa che Sarkozy sia piú sbilanciato verso gli Stati Uniti di altri Presidenti. Malgrado le sue origine ungheresi, è un politico francese, formatosi nell’attività nazionale, senza alcuna esperienza europea o internazionale. Ciò spiega la sua relativa diffidenza ai confronti di Bruxelles, ma anche perchè non abbia aperto specifici canali con gli Stati Uniti. Non e’ il primo leader francese con una consuetudine particolare con il mondo anglo-sassone. Sarkozy si iscrive in una tradizione nazionale ben collaudata, che considera che nella scala delle democrazie, l’altro grande paese democratico, l’unico che può vantare una storia costituzionale repubblicana anteriore a quella francese, sono gli Stati Uniti d’America. E quindi un paese amico, fraterno, ma che viene considerato alla pari, al di la’ delle differenze di potenza. È una visione certamente positiva, ma che rimanda a una classica lettura ideologica francese che spesso nel passato è stata un ostacolo per lo sviluppo di relazioni pragmatiche fra la Francia e gli Stati Uniti.
Tornando ai rapporti con l’Italia, va ricordato che il centro sinistra ora al governo aveva adottato una posizione politica verso gli Usa vicina, di fatto, a quella del presidente Chirac, quando aveva rifiutato l’intervento in Iraq. Oggi Sarkozy si deve comunque inserire nel solco tracciato da Chirac e, prima di lui, da Mitterrand e Giscard d’Estaing, che erano espressione di un consenso bipartisan.
Esiste una politica della Francia che non cambia, uno stile specifico dove la difesa dell’interesse nazionale si mescola con un particolare progetto universalista, che vede la Francia come patria dei Diritti, e quindi fa anche della Francia un campione dell’universalismo nazionale. È una posizione attraente, ma anche impegnativa e contraddittoria, che Sarkozy, appena eletto, ha proposto nel suo primo discorso.