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Le elezioni francesi

Tra Sarkozy e Royal, Bayrou resta la chiave

26 Apr 2007 - Jean-Pierre Darnis - Jean-Pierre Darnis

Può sembrare paradossale, dato il carattere spiccatamente nazionale che ha avuto il dibattito fra i vari candidati al primo turno, analizzare con un taglio europeo le elezioni francesi. Sia a livello di valori – l’identità nazionale enfatizzata dalla destra o il patriottismo ripetutamente evocato dalla candidata socialista – che per quanto riguarda proposte su temi interni – lavoro, sicurezza, scuola, tasse, immigrazione – il dibattito politico francese degli ultimi mesi è apparso più un vorticoso sforzo di ricerca delle priorità interne, che una discussione capace di spingersi oltre le frontiere della Francia.

Da qui è emersa l’immagine di una democrazia invecchiata, che ha perso la sua tradizionale proiezione internazionale e la capacità di andare oltre se stessa. E quindi via con la “marseillaise”, le citazioni di De Gaulle o di Jean Jaurés, le allegorie di una povera Francia in salsa protezionista, sia essa, in definitiva, di sinistra o di destra.

Aria di novità
I risultati del primo turno, da questo punto di vista, hanno certamente gettato un’ondata di acqua fresca che in buona parte ha spezzato le tendenze un po’ “retrò” della prima fase della campagna elettorale. Prima di tutto l’altissima partecipazione al voto, (l’84,61%, la più alta della Quinta Repubblica), ha dimostrato un investimento generale nella res pubblica che rinforza la legittimità democratica. Di questo 85%, il 75% ha votato per partiti “di governo” che, anche con diverse sfumature, accetta certamente l’economia di mercato e l’apertura del paese al mondo esterno.

All’estrema destra e all’estrema sinistra, i vari Front National, Mouvement Pour la France, Parti des Travailleurs, Ligue Communiste Révolutionnaire, Lutte Ouvrière, Parti Comuniste, hanno proposto varie misure di chiusura delle frontiere, di uscita o ridiscussione dei trattati europei all’insegna di “un altro mondo possibile”. L’altro mondo, invece, si è rivelato più o meno un’ “oltretomba”, ad esempio, per un partito comunista francese che ha raggiunto il suo minimo storico, addirittura al di sotto del 2%. La forte partecipazione, invece, ha premiato partiti di governo che hanno avanzato proposte concrete e pragmatiche e che sono stati sostenitori del “si” al trattato costituzionale europeo.

Di nuovo in Europa
Segno di discontinuità con il “no” del maggio 2005? Non del tutto, se si ricorda che erano stati il mancato carattere democratico dei lavori della Convenzione e l’opposizione a Chirac, a suscitare in Francia un’opposizione al trattato più forte di quella che aleggiava nel resto d’ Europa.

Questo risultato quindi è una buona notizia per il ritorno della Francia nel cammino di riforme istituzionale europee, a patto però che non si immagini qualche soluzione che ignori il pronunciamento referendario di allora. Su questo punto va rilevata la convergenza fra Bayrou e Royal che, infatti, chiedono entrambi un nuovo referendum.

Il candidato dell’UDF, François Bayrou, era certamente il piú europeista fra quelli in lizza. La tradizione del partito di centro è quella di essere fortemente a sostegno dell’integrazione europea, e Bayrou non ha mai esitato a porre l’Europa al centro dei sui discorsi, fino anche a sostenere la continuità degli impegni assunti verso la Turchia (tema assai delicato di questi tempi in Francia), laddove Sarkozy ha sempre proclamato la sua opposizione e la Royal si è trincerata dietro la posizione di una richiesta di consultazione popolare.

Bayrou, benché eliminato al primo turno, esprime una tendenza che non sparirà con la sua momentanea uscita di scena. L’Udf ha infatti registrato un risultato estremamente omogeneo sull’insieme del territorio, raggiungendo dovunque un livello di circa 20%. Il suo elettorato è la chiave del secondo turno: è difficile prevedere come si comporterà l’elettorato della nuova Udf, che comprende uomini provenienti da destra e da sinistra, accomunati da un riformismo moderato. Entrambi i candidati dovranno infatti proseguire la loro marcia verso il centro per conquistare l’Eliseo.

Ségolène Royal ha proposto a Bayrou un confronto programmatico in cinque punti, uno dei quali è l’Europa. Sarkozy è invece piú sicuro della maggiore vicinanza del suo programma economico con quello dell’Udf, su nodi su cui, invece, i socialisti si trascinano i vincoli emersi in occasione del loro ultimo congresso.

Visti da Bruxelles
Esiste una paradossale percezione europea dei due contendenti al secondo turno. Sarkozy, anche se apertamente più liberista, viene percepito da Bruxelles come autoritario con delle tendenze interventiste e protezioniste, e quindi come non effettivamente rappresentativo di una Francia “aperta” all’Europa. La Royal invece viene descritta come pacata, pronta al compromesso e quindi più naturalmente incline a perpetuare i classici meccanismi dell’integrazione. È inoltre un candidato donna che obbedisce ai canoni di genere del politically correct europeo.

Questa percezione, in realtà, ha più a che fare con lo stile degli ambienti bruxellesi che con la reale sostanza dei candidati. Sarkozy oscilla fra le spinte liberiste e il patriottismo economico, ben illustrato della sua difesa del caso Alsthom quando fu ministro dell’economia. La Royal invece oscilla fra economia di mercato inquadrata e neo-statalismo, una tendenza ben espressa dal nazionalista Chevènement, suo influente consigliere. Sarkozy inoltre non esita a promuovere dossier importanti come una comune politica per l’energia e la riforma della Pac. In termini bruxellesi, insomma, Sarkozy sembra meno ortodosso ma anche portatore di ispirazione europea.

Comunque, entrambi sono leader di rinnovamento, giovani, ma anche molto nazionali. Nessuno dei due può vantare un’esperienza di studio o di lavoro all’estero, mentre il vecchio Chirac aveva comunque studiato alla Harvard Summer School e aveva conosciuto di persona, con la guerra d’Algeria, le contraddizioni del colonialismo francese.

Royal e Sarkozy sembrano dunque il frutto di una modernità post-sessantottina, portatrice di idee di rinnovamento in un quadro nazionale che non ha sviluppato, però, il particolare senso di appartenenza europea della successiva generazione Erasmus. Molto dipenderà quindi dagli uomini ai quali saranno affidati le sorti della politica di governo e della politica estera, e quindi dalle legislative di giugno prossimo. E anche in questo senso, la pressione esercitata dai centristi dell’Udf potrà rivelarsi decisiva.