IAI
I problemi dell’economia

E’ finita la stagione delle cicale

20 Apr 2006 - Fabio Basagni - Fabio Basagni

“Big hat, no cattle”. Questo sarcastico detto texano probabilmente non è mai risuonato nelle allegre serate di Crawford tra George W ed il nostro ex-premier. Tradotto alla lettera suona come “grande cappello, niente mandria”, ma il suo significato è “grandi velleità, nessuna sostanza”.
Negli ultimi cinque anni, il Governo uscente ha in vario modo indebolito il nostro ancoraggio europeo, avventurandosi in un improbabile tentativo di “intermediazione trilaterale” con Usa e Russia. Per queste velleità, che non hanno portato all’Italia né benefici economici, nè politici abbiamo già pagato un pesante dazio, ma le sfide dei prossimi mesi saranno altrettanto difficili. L’aver dilapidato l’avanzo primario ereditato nel 2001 (circa 5 punti di PIL), ci fa affrontare i nostri snodi istituzionali e la congiuntura internazionale in una situazione di grande vulnerabilità.

Una congiuntura difficile
Nei prossimi 6 mesi l’interazione tra complessità politica, difficoltà di bilancio, mercati finanziari e costi energetici rischia di essere perversa, proprio nel momento della nascita del governo Prodi. Ogni tentativo di ritardare la nascita di questo Governo (ad esempio, complicando e ritardando la nomina del nuovo capo dello Stato) e di ottenere una “prorogatio” del governo uscente, comprometterebbe decenni di progresso economico e di espansione del nostro mercato dei capitali.
Due sono le criticità che potremo fronteggiare solo ristabilendo, subito, una solida base istituzionale e politica :

1. Il prezzo del petrolio rischia di raggiungere i massimi storici durante l’estate/autunno, con un impatto duro sull’economia Italiana. Non parlo dei massimi del 2005 ($ 70 al barile, già raggiunti e superati). Parlo dei massimi “reali” del 1981 (prima crisi Iraniana) che in termini di dollari attuali equivalgono a circa 98 dollari/barile. Gli attuali stock nei paesi Ocse sono circa il 5% più alti del 2005 (solo 3 giorni di consumi in più), ma la grande crescita asiatica e americana implica un aumento dei fabbisogni giornalieri mondiali di quasi 2 milioni di barili nel 2006. Purtroppo l’offerta, soprattutto quella Opec (il petrolio più prelibato) è statica: l’Arabia Saudita sta già pompando al massimo della propria capacità; l’Iraq non può produrre più del 60% della capacità a causa della guerra civile in corso e dell’assenza di governo; l’Iran tirerà gradualmente il freno per far sentire la propria forza nello scacchiere e lanciare precisi messaggi a Washington.
Le elezioni americane in novembre non aiuteranno certo a raffreddare nè gli animi… nè i prezzi. Inoltre, il run-up verso le elezioni russe della Duma del 2007 (fondamentali nella lotta per il grande potere oligarchico e per la preparazione delle elezioni presidenziali dell’anno successivo) non preannunciano una maggiore affidabilità degli approvvigionamenti di gas e petrolio russi il prossimo inverno . Infine, l’aumento della temperatura dell’Atlantico registrata nell’ inverno 2005-2006 fa temere una stagione “molto attiva” degli uragani nel golfo del Messico (da luglio a novembre). E la capacità produttiva e di raffinazione Usa, già provata da Rita e Katrina nel 2005 ( e non ancora ripristinata) potrebbe collassare.

2. La struttura dei tassi d’interesse, già appesantita nell’arco degli ultimi mesi, rischia di peggiorare davanti alle aspettative inflazionistiche legate all’energia e alla più robusta crescita mondiale, che il Fondo Monetario ha innalzato al 4,9%. Le autorità monetarie potrebbero alzare i tassi anche dopo il giugno 2006. Di fronte a questo profilo dei tassi (che ha già penalizzato i titoli obbligazionari in tutta Europa), mantenere un rating decente per il debito pubblico Italiano diventa fondamentale per reggere l’urto di questo già duro contesto internazionale .

Buon Governo
E’ quindi essenziale che un Governo finalmente autorevole si installi entro maggio, indicando ai mercati con decisione la prima priorità: l’impegno a riprendere il controllo della spesa, ricostituire gradualmente un avanzo primario e riprendere il sentiero discendente del nostro stock di debito – gradualmente (perchè la crescita non dovrà essere drasticamente compromessa dalla politica fiscale), ma progressivamente.
Senza un’azione immediata in tal senso, i mercati non capirebbero, i nostri titoli di Stato verrebbero colpiti e il nostro costo del debito rischierebbe di inerpicarsi, chiudendo in questo modo le nostre opzioni di politica economica. Decisamente pesante, dunque, l’eredità del Governo uscente.