I dilemmi dello sport tra guerra e diritti

Un’apertura al ritorno alle competizioni internazionali degli atleti russi e bielorussi, ma a precise condizioni e lasciando l’ultima parola alle federazioni internazionali che governano le varie discipline: così si possono sintetizzare le “raccomandazioni” pubblicate dall’Executive Board del Comitato olimpico internazionale martedì 28 marzo. Le nuove linee guida segnano un’attesa ma contestata revisione delle indicazioni date alle federazioni a fine febbraio 2022, in cui era stata consigliata l’esclusione tout court degli sportivi dei due Paesi “per proteggere l’integrità delle competizioni internazionali e per la sicurezza di tutti i partecipanti”.

Tra pragmatismo e accuse di discriminazione

La nuova policy del Cio introduce dei paletti ben definiti: la partecipazione degli atleti russi e bielorussi è consigliata solo sotto bandiera neutrale e a titolo individuale, mentre viene esclusa la possibilità di far gareggiare rappresentative dei due paesi negli sport di squadra. Un divieto specifico viene inoltre posto alla partecipazione di quegli atleti che “supportano attivamente la guerra” o che “sono sotto contratto con l’esercito russo o bielorusso”. L’esempio da seguire per le federazioni internazionali, richiamato esplicitamente dal presidente Thomas Bach, sarebbe quello di sport come il tennis o il ciclismo, in cui gli atleti di nazionalità russa e bielorussa hanno potuto continuare a gareggiare nell’ultimo anno come singoli. L’apertura, per il momento, è limitata agli eventi internazionali organizzati dalle varie federazioni, mentre viene chiarito che nulla è stato ancora deciso per le Olimpiadi di Parigi 2024 e Milano-Cortina 2026.

Quello del Cio è un approccio sostanzialmente pragmatico, finalizzato a difendere la propria autonomia e cercare di mantenere la (precarissima) unitarietà dello sport internazionale in un contesto caratterizzato dalla guerra in Ucraina e da crescenti frizioni geopolitiche. Nelle raccomandazioni del Cio, vengono in ogni caso citate anche alcune recenti dichiarazioni della Special Rapporteur delle Nazioni Unite in materia di diritti culturali Alexandra Xantakhi, che aveva dipinto l’esclusione degli atleti russi e bielorussi dalle competizioni internazionali come una forma di “discriminazione sulla base del passaporto” e di “palese violazione dei diritti umani“, assimilandola a episodi apparentemente simili avvenuti nel mondo delle arti e dello spettacolo.

L’inevitabile intreccio tra sport e politica internazionale

Le parole di Xantakhi, che sostiene la reintegrazione anche di quegli atleti che sono stati coinvolti direttamente nel conflitto purché non si siano macchiati personalmente di crimini di guerra, hanno suscitato una veemente reazione da parte di sportivi ucraini e non, che hanno ricordato la lunga lista di atleti ucraini che hanno perso la vita a causa della guerra di aggressione scatenata da Mosca. Proprio la necessità di garantire anzitutto i diritti degli atleti ucraini (tra cui quello a non essere esposti indirettamente al conflitto e all’aggressore in occasione degli eventi sportivi) è stata citata dalla docente di diritto pubblico, diritto internazionale e diritti umani Patricia Wiater come una delle due ragioni “legittime” per il divieto di partecipazione nei confronti degli atleti russi.

La seconda ragione cui fa riferimento Wiater rimanda alla sfera politica: evitare che le competizioni sportive siano strumentalizzate dalla propaganda di guerra russa. In questo senso, l’esperienza di uso politico dello sport nella Russia di Putin lascia poco spazio a dubbi: basta ripercorrere gli eventi celebrativi organizzati dal Cremlino all’indomani delle varie tornate olimpiche per rendersi conto di come le vittorie nell’agone sportivo siano state sistematicamente trasformate in un simbolo del ritorno del paese allo status di grande potenza, con toni sempre più aggressivi col passare degli anni. Il rischio di un uso propagandistico dello sport da parte russa si presenta evidentemente anche nel caso di una partecipazione sotto bandiera diversa da quella nazionale, come insegna l’esperienza delle ultime tre Olimpiadi, in cui gli atleti della Federazione russa hanno gareggiato a vario titolo in ragione delle misure disciplinari introdotte a livello internazionale a seguito dello scandalo del doping di stato russo.

La strada verso Parigi 2024

È vero che un’esclusione indiscriminata dagli sport in cui si gareggia a titolo individuale potrebbe finire paradossalmente per colpire anche quegli atleti che hanno espresso posizioni critiche verso la guerra, come ha sottolineato la leggenda del tennis Martina Navratilova: è stato ad esempio il caso di Andrey Rublev e Anastasia Pavlyuchenkova in occasione di Wimbledon 2022.

Le specificità non solo delle singole discipline, ma anche dei singoli eventi possono giustificare un approccio differenziato: particolarmente controversa resta in ogni caso un’eventuale reintegrazione degli atleti russi non solo nelle competizioni basate su squadre nazionali (come sembra riconoscere anche il Cio), ma anche negli sport di contatto e combattimento, che pure includono diverse federazioni tradizionalmente a forte influenza russa.

La questione è destinata a continuare a dividere il mondo dello sport nel travagliato percorso di avvicinamento all’appuntamento olimpico di Parigi 2024. Mentre è verosimile che molte federazioni internazionali seguiranno le raccomandazioni del Cio e si esprimeranno per un ritorno degli atleti russi a titolo individuale (magari dirottandoli verso gli eventi e i tornei promossi dalle confederazioni asiatiche), la strada verso un’eventuale partecipazione alle Olimpiadi sembra decisamente in salita. In questo senso, le posizioni possibiliste del Cio dovranno inevitabilmente fare i conti con l’opposizione già annunciata da parte di molti paesi occidentali, sia pur con posizioni differenziate, specialmente riguardo a un possibile boicottaggio. A dettare l’agenda saranno inevitabilmente anche gli sviluppi del conflitto sul campo, a testimonianza dell’impossibilità di separare il mondo dello sport internazionale dal più ampio quadro delle relazioni internazionali.

Foto di copertina EPA/JEAN-CHRISTOPHE BOTT

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